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Gaz, rischia chiusura la casa delle auto delle élite sovietiche

Fondata nel 1932, in quasi 90 anni ha sfornato auto come la Pobeda, la Volga o la Chaika

Mattia Bernardo Bagnoli NIZHNY NOVGOROD

"Questa fabbrica è sopravvissuta ai bombardamenti nazisti durante la seconda guerra mondiale e ora rischia di chiudere per colpa delle sanzioni americane". Oleg Deripaska parla, il vento nella piana del Volga non dà tregua: anche climaticamente, l'inverno sembra essere alle porte. La GAZ è un'istituzione. Fondata nel 1932 grazie a un mega-accordo con la Ford, in 90 anni ha sfornato modelli iconici come la Pobeda, la Volga o la Chaika, l'auto delle élite sovietiche. Il rischio ora è che tutto vada a gambe all'aria - e a perderci non sarebbe solo la Russia. Deripaska è oligarca di razza. Già proprietario di Rusal, colosso dell'alluminio finito nel mirino di Washington e dunque polverizzato in borsa, contrattacca e in zona cesarini organizza un tour allo stabilimento GAZ di Nizhny Novgorod con la stampa internazionale "perché vi rendiate conto cosa c'è in ballo".

Ottimo inglese, gilet smanicato nel gelo, presenza in forse fino all'ultimo, inveisce contro la strategia Usa di colpire gli "imprenditori per ragioni politiche", risponde (più o meno) alle domande e poi scompare (si è materializzato un incontro con Vladimir Putin al Cremlino: e dunque tutto passa in secondo piano). Ma su una cosa è chiaro. Pur di salvare la GAZ è disposto a fare un passo indietro, così come ha fatto con Rusal e la holding EN+. Per ora dagli Usa tutto tace. C'è tempo fino al 4 luglio e poi le sanzioni entreranno in vigore. E sarà il disastro. La Mercedes, che qui assemblava il suo Sprinter, già lo scorso agosto ha fatto le valigie. Resta la Volkswagen, che produce a Nizhny Novgorod due modelli Skoda (un terzo in arrivo) per un totale di 55mila veicoli l'anno, con l'obiettivo di salire a 100mila - un investimento da 500 milioni di euro (del 2012, metà li ha messi GAZ) dal futuro incerto. La vera vittima sarebbe però la produzione di van, mini-van e camion, che oggiogiorno è il vero core-business dell'azienda.

Se, infatti, le auto GAZ non hanno retto alla competizione del XXI secolo, con l'ultimo modello, la Sibir, uccisa in culla nel 2010, i veicolo commerciali vanno forte: la linea Gazelle Next, nelle sue varie configurazioni, occupa oltre il 50% del mercato. Il perché è semplice. "È pensata per la Russia: il van classico ha una capacità di carico ufficiale fino a 1,5 tonnellate ma è strutturalmente progettato per reggere fino a 3, e tutti lo sanno", spiega Ivan Mamochkin della Agat, principale concessionaria della GAZ. "Poi la manutenzione costa poco, i pezzi di ricambio si trovano ovunque, la struttura è solida". Caratteristiche cruciali, date le condizioni delle strade russe.

"I miei costi salirebbero del 30-40%, se fossi costretto a passare ai modelli stranieri", confida Vitaly Vochkariov, fondatore della ditta di trasporti Ltknn. Ecco, giusto per dire cosa potrebbe travolgere i consumatori finali nel caso peggiore. Ma al di là dei numeri, come si vuol dire, ci sono le persone. "Come si fa a vivere così, con lo spettro di perdere il lavoro: uno mica si accende un mutuo, prende un prestito...". Andrei lavora nel reparto saldature ed è uno dei 20mila impiegati dello stabilimento di Nizhny Novgorod (la GAZ in tutto ha oltre 40mila dipendenti). Da più di un anno fare piani è impossibile, si aspetta la deadline. E se si considera che ogni posto di lavoro della fabbrica ne genera 10 nell'indotto, non è difficile capire l'impatto della GAZ su una cittadina come Nizhny Novgorod, quante vite restano in sospeso. "Con Rusal gli Usa hanno fatto un errore", butta lì Deripaska, numeri alla mano.

"Il prezzo dell'alluminio è schizzato alle stelle e siccome loro e l'Europa ne consumano insieme 80 milioni di tonnellate hanno fatto un passo indietro: ma con la GAZ non c'è questo problema e allora forse la useranno per far vedere il sangue al Congresso". E per Nizhny Novgorod saranno dolori.

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