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Malati reumatici, costretti a vivere in un "eterno presente"

Lapadula (Sir), si modificano relazioni con il corpo e gli altri

Redazione ANSA ROMA

Costretti a vivere in un "eterno presente", tra la difficoltà di programmare il futuro e quelle di svolgere attività lavorative o quotidiane. Il peso di dover convivere con una malattia cronica condiziona la vita dei malati reumatici, così come la loro relazione con se stessi e con gli altri. Ma queste condizioni possono essere in tutto o in parte evitate se la diagnosi della malattia arriva precocemente. A fare il punto, Giovanni Lapadula, ordinario di reumatologia presso l'Università di Bari.
    Le malattie reumatiche, come l'artrite reumatoide e le spondoartriti, rappresentano una delle prime cause di inabilità temporanea e di disabilità permanente. Dipendenza dagli altri per svolgere attività o spostarsi, necessità di accompagnamento, peso sui familiari, frequenti assenze da lavoro, effetti secondari dei farmaci, necessità di andare frequentemente dal medico e in farmacia a ritirare prescrizioni e confezioni.
    Essere pazienti cronici significa tutto questo. Ma ci sono aspetti che caratterizzano in particolare il peso della cronicità nei malati reumatici. "Queste persone hanno un rapporto particolare col proprio corpo. Il rapporto spontaneo con il corpo e la relazione con le competenze basate sulla corporeità si interrompono, rimpiazzate da una esperienza di alienazione e di oggettivazione del corpo stesso.Il corpo perde la sua caratteristica di inconscio presupposto della esperienza vitale e diventa esso stesso centro di attenzione tematica. E' una vera esperienza dissociativa di scissione fra il sé ed il corpo, sé e gli altri, il sé e la vita pratica". La malattia e il dolore cronico finiscono così per rimodulare la vita del malato. "Questo significa difficoltà a programmare le attività o gli appuntamenti, a prenotare viaggi o spostamenti, a concretizzare progetti. In questo modo si perde il senso del futuro, si vive compressi in un eterno presente, perché non si può prevedere se i sintomi, di qui a qualche settimana, consentiranno o meno di fare quanto previsto", sottolinea Lapadula. A questo si aggiunge la modificazione del rapporto con altre persone. "Questi pazienti - spiega l'esperto della Società Italiana di Reumatologia (Sir) - hanno la propensione a restringere i rapporti a chi sanno che può capire il loro problema, hanno difficoltà a spiegare cosa hanno perché il senso comune attribuisce i dolori articolari ad una inevitabile conseguenza dell'invecchiamento". Questo fa sì che si tenda inizialmente a nascondere le proprie sofferenze a se stessi e agli altri, provocando un ritardo diagnostico che può compromettere il successo terapeutico.
   

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