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Ottone Rosai, maestro tra le due guerre

A Montevarchi 50 opere per 'rileggere' l'artista fiorentino

di Luciano Fioramonti ROMA

ROMA - Dieci dipinti e dieci disegni mai visti inducono a cambiare il punto di vista su Ottone Rosai, pittore fiorentino che negli anni tra le due guerre attraversò la scena dell' arte lasciando il segno. Schierato con il Regime e poi preso di mira per le posizioni non ortodosse e per la sua omosessualità, l' artista aveva aderito al Futurismo ma dopo un viaggio a Roma nel 1919 virò verso il 'ritorno all' ordine' per una pittura ''primitiva'', ispirata ai capolavori del Trecento e del Quattrocento, dai toni cupi, concentrata sui contadini, gli umili e la vita rurale. Rosai (1895-1957) si impose nel novembre 1920 con la prima mostra personale a Palazzo Capponi a Firenze, che Ardengo Soffici apprezzò per ''la spontaneità di visione e la profondità del linguaggio pittorico''. Cento anni dopo il Comune di Montevarchi (Arezzo) gli dedica dal 25 ottobre al 31 gennaio prossimo la grande retrospettiva che riunisce nel Palazzo del Podestà cinquanta disegni e oli tra cui, appunto, un numero consistente di inediti. Il curatore Giovanni Faccenda, considerato il massimo esperto di Rosai, le ha cercate tra le collezioni private, nelle case di chi conobbe il pittore toscano, tra i suoi galleristi e gli eredi. La scelta abbraccia un periodo preciso, dal 1919 al 1932, il punto più alto della produzione del maestro, con l' intento ''di superare una lettura esegetica talvolta superficiale e antiquata dell'opera di uno dei maggiori artisti italiani del Novecento''. Una figura complessa e controversa, segnata profondamente nel 1922 dal suicidio del padre per debiti e dall' orientamento sessuale che fu praticamente costretto a dissimulare sposando un' amica di infanzia.
    ''Una delle maggiori peculiarità di questa esposizione pubblica - spiega Faccenda - deriva dalla riscoperta di una decina di capolavori assoluti di Rosai degli anni Venti e Trenta, tutti provenienti da una raccolta privata romana, presenti alla mostra di Palazzo Ferroni, a Firenze, nel 1932, e documentati nel primo volume del Catalogo Generale ragionato delle sue opere da me curato e pubblicato nel 2018''. La ricerca condotta per questa occasione ha consentito, tra l' altro, il ritrovamento e l' identificazione di un dipinto del 1932 - "Baroncelli" anch'esso, come altri esposti, già presente nella rassegna di Palazzo Ferroni - a lungo presentato come "Paesaggio", senza tenere conto della indicazione dell' autore autografa a carboncino al verso del quadro. Tra gli estimatori di Rosai figurò anche Francis Bacon che nel 1962, in una intervista tv, lo definì ''uno fra i più grandi pittori di questo secolo: soprattutto gli autoritratti e i nudi che egli ha dipinto, gli uni all'inizio, gli altri alla fine degli anni Quaranta, hanno generato in me profonde riflessioni e non pochi trasalimenti''. Nel catalogo alcune foto professionali a colori mostrano un Rosai in abiti borghesi così come non lo si era mai visto: sorridente anziché assorto e cupo, disponibile a lasciarsi catturare dall'obbiettivo del fotografo. Non solo immagini. In mostra un documento sonoro restituisce la voce di Rosai, un vinile nel quale l' artista legge due brani della sua raccolta di racconti "Via Toscanella".
    Ottone Rosai non era persona facile. Indro Montanelli, che lo conobbe grazie a Vasco Pratolini senza mai diventarne amico, lo descrisse sul Corriere della Sera come ''un tipaccio scorbutico, aggressivo e litigioso''. ''Quando dopo la Liberazione seppi che era diventato comunista - raccontò il grande giornalista - non ne fui sorpreso, e tantomeno indignato. Lo era sempre stato, nella sua pittura, anche quando indossava la camicia nera''. ; (ANSA).
   

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