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Concordia: Cassazione, Schettino imprudente e negligente

Colpe nel ritardo allarme e latitanza gestionale. No attenuanti

20 luglio, 00:19
Concordia: Cassazione,Schettino imprudente e negligente Concordia: Cassazione,Schettino imprudente e negligente

(ANSA) - ROMA, 19 LUG - Quando la sera la 13 gennaio del 2012 la Costa Concordia, con 4mila persone a bordo, nell'intento di inchinarsi al Giglio e ad amici e parenti del comandante e dell'equipaggio, ha urtato gli scogli delle Scole, Francesco Schettino era "il capo equipe", aveva "l'obbligo e il potere di impedire l'evento". Invece, scrive la Cassazione, si comportò in maniera negligente, non osservò il "livello di diligenza, prudenza e perizia oggettivamente dovuto". Poi abbandonò la nave pur sapendo che vi erano ancora persone in pericolo, con una inescusabile "latitanza gestionale": si allontanò dalla plancia senza neppure prendere con sé una radio con cui comunicare con l'equipaggio. I morti, 32, e i danni all'ambiente furono tanti che il comandante, condannato a 16 anni, non merita nessuna sconto di pena. Nelle 151 pagine della sentenza con cui ha reso definitiva la condanna, la Corte ripercorre così il film processuale del più mediatizzato disastro marittimo della storia. Senza mai indugiare negli aggettivi, che in altri casi si sono sprecati per il comandante, i giudici inchiodano Schettino alle sue colpe. La quarta sezione penale analizza la condotta del capitano a partire dalla pianificazione della rotta, tre ore prima del naufragio. Schettino, viene sottolineato nella sentenza n.35585, intendeva "puntare verso l'isola ed avvicinarsi per il 'saluto' programmato", come da lui stesso ammesso, "era tutt'altro che ignaro della rotta tenuta dalla nave", impartiva ordini sulla manovra, ordinando di procedere "con timone alla mano", e quando assunse formalmente il comando avrebbe potuto ripristinare la rotta programmata; in ogni caso "gli errori e le omissioni attribuiti ad altri ufficiali non furono in alcun modo decisivi, né tanto meno tali da ingannare il comandante sullo stato della navigazione". Anche "gli errori attribuiti al timoniere Rusli Bin furono in larga parte indotti dallo stesso Schettino e dalle sue concitate modalità di impartire gli ordini in rapida sequenza": 6, dati a raffica, come scritto nella sentenza d'Appello, nell'arco di soli 32 secondi appena prima all'impatto. Agì con "negligenza", perché pur sapendo che il timoniere parlasse poco sia l'italiano che l'inglese si era "avventurato" nella manovra, senza sostituirlo. Quella sera Schettino sbagliò ancora, e molto: avrebbe dovuto dare l'allarme di emergenza generale "alle 21.50 o al più tardi alle 22", scrvino i giudici, cioè quando fu comunicato in plancia che il locale dei motori elettrici era allagato: "il ritardo nella segnalazione e nell'ordinare l'ammaino delle scialuppe ha assunto un evidente rilievo causale" nella morte delle 32 persone e nel ferimento di altre 193, "costrette a vivere esperienze assolutamente drammatiche, sconvolgenti, inenarrabili". Poi, decise di lasciare la nave, andò in cabina, prese "un giubbotto anonimo e i documenti di bordo" e a mezzanotte e 17 si imbarcò su una scialuppa, senza la radio, di fatto rinunciando a coordinare le operazioni e risoluto a non risalire a bordo. Anche dopo la telefonata con l'ufficiale della Capitaneria che, diffusa in tutto il mondo, l'ha reso colpevole agli occhi degli spettatori ben prima dei tre gradi di giudizio. (ANSA).

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