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Palazzo Chigi, per Marogna non c'è obbligo di segretezza

Processo su fondi S.Sede, legali avevano posto questione in aula

    "In merito al procedimento penale in corso presso gli Organi di giustizia vaticani che vede interessata la Signora Cecilia Marogna si precisa che non esiste alcun obbligo di segretezza che limiti l'esercizio dei suoi diritti processuali". Interviene niente meno che la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con una nota, per chiarire alcuni aspetti della posizione processuale della 39/enne manager sarda, accusata di peculato insieme al cardinale Giovanni Angelo Becciu nel processo apertosi martedì in Vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato.

    Era stato il difensore della donna, avvocato Fiorino Ruggio, intervenuto per primo in aula nell'udienza di martedì, a porre la questione del segreto che vincolerebbe l'imputata per i suoi - mai negati - legami con i Servizi. Il legale aveva chiesto lo stralcio e il rinvio per la propria assistita "perché il Dis (Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, ndr) ha disposto l'apertura di un'indagine e l'ascolto in base a un esposto presentato allo stesso Dis e all'Aise (Agenzia informazioni e sicurezza esterna, ndr) con la richiesta della Segreteria di Stato alle autorità italiane perché la signora Marogna venga liberata dal segreto". "Chiedo il rinvio - ha ulteriormente precisato il legale - perché, se non viene liberata dal segreto, a questo deve attenersi anche durante questo processo".

    Sull'istanza difensiva della Marogna il Tribunale presieduto da Giuseppe Pignatone si è riservato la decisione - come su tutte le altre istanze preliminari delle difese - "all'esito delle ulteriori questioni che saranno eventualmente sollevate per la prossima udienza" fissata al 5 ottobre.

    Ma intanto, a dirimere la questione e a sciogliere il nodo, è intervenuto oggi addirittura Palazzo Chigi, da cui dipendono le direzioni dei Servizi, chiarendo che in capo a Cecilia Marogna "non esiste alcun obbligo di segretezza che limiti l'esercizio dei suoi diritti processuali".

    Nel giudizio davanti al Tribunale vaticano, in cui sono imputate in tutto dieci persone, la Marogna - sia personalmente che tramite la propria società slovena Logsic, con sede a Lubiana - deve rispondere insieme al card. Becciu dell'ipotesi di peculato, poiché, come recita il capo d'imputazione, "sottraevano, si appropriavano indebitamente, convertendole a proprio profitto, e, comunque, usavano in modo illecito e distraevano, a vantaggio proprio, i fondi ed i valori pubblici, di importo non inferiore a 575.000 euro, destinandoli anche ad acquisti voluttuari incompatibili con le finalità impresse dalla Segreteria di Stato".

    Nel corso delle indagini, durante le quali ha subito anche l'arresto in Italia, poi revocato, la donna ribattezzata dai media "la dama del cardinale" ed entrata in collaborazione con Becciu quando quest'ultimo era sostituto per gli Affari generali accreditandosi come analista di intelligence, esperta di relazioni diplomatiche e mediatrice nelle crisi internazionali, ha sostenuto che i bonifici ricevuti dalla Segreteria di Stato dovevano servire a missioni umanitarie e mediazioni riservate, e anche a questo, almeno a suo dire, era finalizzato l'acquisto di beni griffati e oggetti di lusso.

    In interviste, Marogna ha anche vantato conoscenze con il faccendiere italiano Flavio Carboni e il massone dissidente Gioele Magaldi, nonché rapporti di "stima e collaborazione coi vertici dell'apparato dei Servizi Italiani".

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