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Paolo Taviani, 90 anni tra rigore e impegno civile

Cinema

Paolo Taviani, 90 anni tra rigore e impegno civile

"Mezzo regista" dopo l'addio a Vittorio, al lavoro su Pirandello

ROMA, 07 novembre 2021, 13:29

di Giorgio Gosetti

ANSACheck

>>>ANSA/ Paolo Taviani, 90 anni tra rigore e impegno civile/speciale - RIPRODUZIONE RISERVATA

>>>ANSA/ Paolo Taviani, 90 anni tra rigore e impegno civile/speciale - RIPRODUZIONE RISERVATA
>>>ANSA/ Paolo Taviani, 90 anni tra rigore e impegno civile/speciale - RIPRODUZIONE RISERVATA

ROMA - Come si fa a festeggiare Paolo Taviani, a celebrare degnamente i suoi giovanissimi 90 anni senza impigliarsi nel ricordo di suo fratello Vittorio, senza ricadere nel vizio sistematico di parlare della coppia più affiatata di tutte e di quei fratelli toscani che scesero a Roma negli anni '50 per cambiare il mondo e sono riusciti a cambiare il cinema italiano? Intanto si può partire dal tradizionale equivoco: Paolo è quello senza cappello, è quello più giovane di due anni (nato a San Miniato l'8 novembre del 1931), è quello dotato di ironia tagliente o bonaria, a seconda dell'interlocutore. Paolo è quello che in questi giorni sta dando gli ultimi ritocchi al suo primo film "in solitario", ancora una volta ispirato a Pirandello e al suo racconto omonimo "Leonora addio".

Lo ha girato nell'amatissima Sicilia, nella Valle dei Templi, a Palma di Montichiaro, Siracusa e Catania e, come già in "Kaos" e "Tu ridi", il nucleo centrale della novella è racchiuso in altri episodi ispirati direttamente alla vita del grande commediografo. Lo ha voluto in bianco e nero, come in un ideale ritorno agli esordi di quel cinema, firmato Paolo & Vittorio Taviani che fin dagli anni '50 tracciò un'ideale linea di confine tra il magistero del Neorealismo e un nuovo cinema realista, volutamente ideologico e poetico insieme. Nati a San Miniato, vicino a Pisa, da una famiglia borghese, con padre avvocato e antifascista, i Fratelli Taviani arrivano a Roma con un'idea ben chiara nella testa: fare il cinema, suggestionati dalla scoperta di "Paisà" (Rossellini è il maestro dichiarato), emozionati da "Ladri di biciclette". "Quando il film uscì - ha raccontato Paolo - fu un altro innamoramento, e come in ogni innamoramento la fidanzata la si vuole vicina. Ma in provincia i film appaiono e si dileguano, i film italiani in particolare in quegli anni. E noi due l'abbiamo inseguito, quel film, in bicicletta, in treno, da Pisa a Pontedera a Livorno a Lucca. L'abbiamo visto e rivisto perché avevamo deciso di riscrivere a memoria la sceneggiatura, con i dialoghi, i carrelli, gli stacchi: volevamo possedere quel linguaggio". Ma sono modelli che poi si sono trasformati in consapevolezza interiore, tanto che i due fratelli hanno sempre negato di avere un solo modello di riferimento e di amare soprattutto il confronto con la letteratura; anche la collaborazione con Valentino Orsini (al loro fianco all'esordio) e con il produttore più fedele (l'ex partigiano Giuliani De Negri) è sempre stato più un confronto ideologico che una guida estetica.

Dal sodalizio sono nati film che hanno segnato la storia del cinema come il profetico "Sovversivi" sulla fine della fiducia cieca nel comunismo reale e il visionario "Sotto il segno dello scorpione" a cavallo con la repressione in Cecoslovacchia; hanno anticipato il fallimento dell'utopia rivoluzionaria attingendo alla storia del Risorgimento con "San Michele aveva un gallo" e "Allosanfan". Nel 1977 hanno vinto la Palma d'oro con "Padre padrone" e otto anni dopo trionfano ancora a Cannes con il loro più grande successo, "La notte di San Lorenzo" (Premio speciale della giuria). E' dell'84 il loro incontro con Pirandello e le novelle di "Kaos" seguito nel '98 da "Tu ridi"; nel 2012 dopo una lunga parentesi che li vede confrontarsi con il racconto televisivo, vincono il Festival di Berlino con "Cesare deve morire". L'ultima collaborazione è del 2017 con "Una questione privata" che Paolo dirige da solo, mentre il fratello Vittorio è costretto a rimanere a casa per la malattia che lo avrebbe portato via pochi mesi dopo, il 15 aprile di tre anni fa. Paolo Taviani ama definirsi anche oggi "un mezzo regista" perché metà di lui non c'è sul set, si sente "un impiegato del cinema perché in fondo Vittorio ed io lavoriamo da sempre con certe regole e un certo ritmo, magari nel tempo rallentato dall'età che avanza ma sempre guidato da un rigore di fondo come quello degli impiegati di una volta. I film cambiano, io molto meno e continuo a pensare che facciamo questo mestiere perché se il cinema ha questa forza, di rivelare a noi stessi una nostra stessa verità, allora vale la pena di metterci alla prova". Con 20 film alle spalle (senza contare documentari, pubblicità e qualche corto disperso come l'ultimo episodio di "Tu ridi") altrettanti premi maggiori e un Leone d'oro alla carriera (nel 1986), i due fratelli hanno dimostrato che passione, costanza, rigore e fedeltà al reale possono essere premiati. E allora, auguri Paolo: aspettiamo il tuo nuovo film con l'impazienza di sempre.

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