(di Giovanni Franco)
(ENZO D'ANTONA, GLI SPAESATI.
CRONACHE DEL NORD TERRONE, ZOLFO, PP197,17 EURO)
"Negli anni Settanta cominciammo ad andarcene un po' per volta.
Dopo il diploma e i primi anni di università molti di noi si
accorsero che non c'erano alternative. Per
trovare lavoro bisognava fare la valigia, non più di cartone, e
andare al Nord. I primi furono i vincitori di concorso. Poste,
Ferrovie, cancellerie di tribunali, uffici pubblici
statali, ma anche provinciali e comunali. La speranza, più che
altro l'illusione, era di rimanere qualche anno fuori casa e
infine riuscire a ottenere un trasferimento in Sicilia", osserva
il giornalista Enzo D'Antona. Ma chi sono questi "cervelli in
fuga dal Sud"? Quali sono le loro storie? Come hanno vissuto la
quotidianità di quella che il cronista definisce una vera e
propria "deportazione"? Le risposte a queste domande le possiamo
trovare nel suo libro "Gli spaesati. cronache del nord terrone",
in distribuzione dal 26 novembre.
"Nei ventuno anni che vanno grosso modo dalla strage di piazza
Fontana all'inizio di Tangentopoli, tra il 12 dicembre 1969 e il
17 febbraio 1992, c'è stato per la prima volta nella piccola
storia della Sicilia rurale, l'esodo di massa di giovani
diplomati e laureati. L'inizio dell'emigrazione borghese",
ricorda l'autore. Con uno stile asciutto, pervaso da una sottile
ironia, D'Antona, ex redattore del glorioso quotidiano L'Ora,
poi approdato al settimanale Il Mondo a Milano, e
successivamente a Repubblica, alla Città di Salerno e infine
alla direzione del Piccolo di Trieste fino all'anno scorso,
traccia l'identikit e narra le odissee di un gruppo giovani di
un paese dell'entroterra siciliano emigrati al Nord dagli anni
Settanta ai Novanta. Ragazzi che vanno a fare gli operai
metalmeccanici, ma poi anche gli insegnanti, gli impiegati
pubblici, i liberi professionisti." Ben diversi dai loro
predecessori subiscono, comunque, una condizione permanente di
spaesamento. L'integrazione è possibile solo a costo di
rinunciare a pezzi della propria identità culturale, e comunque
il destino inevitabile sembra - ma non è scontato - di essere
esclusi da certi luoghi e miti a cui hanno accesso soltanto i
settentrionali", osserva lo scrittore. Così le vite di Ghezio,
Crocifisso, Fernando, Liborio, Gnazio, Aurelio, Milziade e
Artemio, Silvestro e Gianrosario - tutti partiti da una stessa
palazzina popolare - si dispiegano a Torino, Milano e Genova
incrociando i grandi mutamenti italiani. Le loro vicende sono
scandite in maniera diacronica dai maggiori fatti di cronaca che
hanno caratterizzato il secolo scorso: dai delitti di mafia alle
mutazioni economiche e politiche.
"Le storie sono tutte vere anche se per rendere non
riconoscibili i singoli personaggi le ho in qualche misura
rimescolate - spiega D'Antona -. E il paese si sarebbe potuto
chiamare Riesi (Cl)- il mio amato paese di nascita - se non
fosse che Iudeca abbraccia anche altre vite vissute e ascoltate
nel corso di tanti anni in altri luoghi". Sipari di una lunga
messa in scena di solitudine e di esclusione. L'arrivo alla
"terra promessa", prende le mosse quasi sempre da quello che fu
definito il Treno del Sole: il simbolo e l'icona
giornalistico-cinematografica della grande emigrazione al Nord
nel secondo dopoguerra, "ma non ha niente di solare. Anzi ha un
che di ammuffito - racconta l'autore - Comunque è lì sul treno
che, a poco a poco, il normale
cittadino meridionale si trasforma, perde buona parte delle sue
convinzioni sull'uguaglianza dei cittadini nell'Italia unita e
acquisisce le sembianze e lo status di terrone". E' proprio per
questo che, a volte, si arriva a una "crisi d'identità
territoriale". Dice Gnazio: "quando sono al Nord passo le
giornate a difendere il Sud. Poi quando vado in Sicilia mi
incazzo e non faccio altro che difendere il Nord". Una
conseguenza dello sdradicamento dalle origini. Chissà. "Certo
l'impatto con la nuova realtà può essere ancora duro, a volte
doloroso, e c'è sempre quel senso di smarrimento e di
lontananza- chiosa l'autore - Più che emigrati, all'inizio sono
pendolari, ma sappiamo che solo pochi torneranno e molti invece
saranno felici di vivere al Nord. Per il Sud - e per il paese di
Iudeca che li rappresenta tutti - è uno spreco di intelligenze,
di possibilità, di prospettive comuni. Un genocidio culturale
senza fine".
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