Sono passati sei anni dal suo ultimo album. Oumou Sangaré ha compiuto 50 anni a febbraio scorso ed è tornata sui palchi con un nuovo lavoro, che segna un cambio di direzione e che incuriosisce ma non crea certamente stupore: chi conosce la carriera della diva maliana sa quanto sia da sempre molto avventurosa. "Mogoya" è stato pubblicato dall'etichetta francese No Format!, prodotto da A.l.b.e.r.t., un team che ha già lavorato con Franz Ferdinand, ed è stato portato dal vivo sul palco della Sala Sinopoli dell'Auditorium Parco della Musica di Roma sabato 22 settembre, per la 33/a edizione della rassegna Romaeuropa Festival.
I riff di basso, le tastiere, la chitarra rock, le percussioni del grande batterista nigeriano Tony Allen (che ha collaborato, tra gli altri, con Damon Albarn e con gli Air e con il quale Sangaré ha rinnovato il sodalizio) sono i chiari segnali di un rinnovamento, che sembra voler fare l'occhiolino a un pubblico più giovane rispetto al consueto seguito dell'artista del Mali. Un approccio sicuramente più sperimentale che, però, non mette in discussione le radici della cultura musicale dell'artista, testimoniata da strumenti a corda africani sempre in evidenza. La regina della musica maliana, così l'ha definita il Rolling Stone Magazine, ha da sempre fatto della diffusione della musica africana nel mondo una missione, facendosi portavoce, in particolare, della lotta per i diritti delle donne (si è da sempre opposta ai matrimoni combinati e alla poligamia). "Uso la musica - ha spiegato - per tradurre le mie opinioni su alcuni temi che mi stanno molto a cuore. Ogni volta che scrivo una nuova canzone, la gente aspetta principalmente di sentire cosa ho da dire. Questo mondo è malato e c'è molto lavoro da fare per guarirlo. Io cerco di aiutarlo per quello che posso e con quello che so fare meglio".
La sua musica è dunque espressione artistica e culturale, ma anche fenomeno sociale, tanto che è stata insignita del titolo di Ambasciatrice di buona volontà dalle Nazioni Unite e ha conseguito il Music Prize dell'International Music Council fondato dall'Unesco per il suo contributo "all'arricchimento e allo sviluppo della musica, della pace, della comprensione tra popoli e della cooperazione internazionale". Quando aveva due anni, suo padre emigrò in Costa d'Avorio con una seconda moglie, abbandonando sua madre che era incinta e che, per campare, ha iniziato a cantare ai matrimoni e ai battesimi. L'amara esperienza di Oumou ha formato la sua coscienza. L'artista non ha dimenticato la sua storia e, anzi, ne ha fatto una bandiera di lotta: "Quando nella tua società vedi qualcosa che si sta rompendo e sgretolando, - ha detto - devi parlarne. Dobbiamo prenderci cura della nostra dignità e avere rispetto per le parole che scegliamo".
