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Placido jr, quanto somiglio a Jacopo Ortis

Le Ultime lettere da Foscolo al Todi Festival per regia Tarasco

Adolescente secchione in tv per Tutti pazzi per amore. Ragazzo difficile, con un passato di droga, al cinema in Come saltano i pesci. Adolescente gay adottato e pieno di conflitti sul lettino di In treatment. E ora anche il tormentato Jacopo Ortis che Foscolo racconta fino al suicidio. E che per di più, dice, "mi somiglia molto". Così Brenno Placido, classe '91, figlio d'arte di Michele Placido e un'evidente predilezione per i personaggi da scrutare, è pronto a portare a teatro 'Jacopo Ortis', in 200 anni la prima trasposizione teatrale completa del romanzo epistolare di Ugo Foscolo, al debutto al 31/o Todi Festival il 30 agosto con la regia e l'adattamento di Matteo Tarasco.

Una pietra miliare della letteratura italiana, croce e delizia per generazioni di studenti al liceo. "Io, in verità, alla scuola inglese non l'avevo letto - racconta però lui all'ANSA - Ma credo anche che a 16 anni non si possa davvero capire. Si è presi da altro. Io avevo difficoltà a leggere Shakespeare. A meno che non lo vedi a teatro, allora entri in profondità. E' uno dei motivi per cui dovrebbero introdurre il teatro a scuola". L'adattamento di Tarasco, con cui l'attore si ritrova dopo un Enrico IV di qualche anno fa, ha trasformato il carteggio del romanzo in un monologo, in cui l'amata Teresa appare "come un ricordo". L'ambizione, "dimostrare quanto siano attuali le parole di Ortis. I sentimenti - spiega Placido jr - sono universali, prescindono dal tempo. E conquista anche l'aspetto politico del libro: Jacopo è un attivista che si oppone alla tirannia di Napoleone. Ama la patria e Teresa allo stesso modo. Leggerlo, ascoltarlo, rinfresca le coscienze".

Ma quella dei personaggi tormentati, è una scelta o condanna? "Forse è un mio limite cercare parti così - risponde - Mi piacerebbe anche fare una commedia e una performance che coinvolga anche altre arti, come la musica. Ma in fondo - riflette - Jacopo mi assomiglia. A parte il naso, siamo uguali. E condivido molto della sua visione. E' un pessimista, anche se a volte i pessimisti semplicemente vedono la realtà oggettiva". E con il mestiere d'attore, che più volte ha detto "potrebbe finire da un momento all'altro", oggi ha fatto pace? "Ho i miei conflitti interiori - ammette - Ma questo è il mio mestiere. Quando lavoro trovo l'armonia. L'impatto con il pubblico a teatro, poi, è un'esperienza che non ha prezzo. La difficoltà arriva dopo un anno che aspetti e non lavori. E non vuol dire nulla che io sia figlio di Placido. Sono solo un giovane attore come tanti miei coetanei, che partecipa ai provini, ci prova, aspetta. Il problema sono i politici, perché se continui a tagliare nella cultura, se finanzi la metà, partiranno la metà di produzioni e spettacoli. E avremo tutti la metà delle possibilità. Un regista con cui mi piacerebbe lavorare? Paolo Virzì".

Quanto al cognome importante e a quel papà 'ingombrante', dentro e fuori la scena, non ha dubbi. "Non è così scontato che in una famiglia si seguano le orme del padre (prima di lui, ci sono anche Violante e Michelangelo, che studia da regista ndr). Questo è un mestiere in cui davvero devi avere una vocazione - riflette - Ti mette in una posizione scomoda, che può essere bellissima ma anche molto dolorosa. Ma mio padre è mio padre e basta. Non riesco a vederlo in altro modo. Un rapporto difficile se siamo in tournée insieme, proprio perché continuiamo ad essere padre e figlio. Ma bellissimo perché mi segue sempre quando lavoro, felice per ciò che faccio. D'altronde, è un po' come se rivedesse se stesso in me".


   

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