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Marco Damilano, Processo al nuovo

Marco Damilano, Processo al nuovo

"Con il passato ha buttato via il futuro. Serve politica nuova"

ROMA, 21 giugno 2017, 10:49

Nicoletta Tamberlich

ANSACheck

La copertina del libro di Marco Damilano 'Processo al nuovo ' - RIPRODUZIONE RISERVATA

La copertina del libro di Marco Damilano  'Processo al nuovo ' - RIPRODUZIONE RISERVATA
La copertina del libro di Marco Damilano 'Processo al nuovo ' - RIPRODUZIONE RISERVATA

MARCO DAMILANO, PROCESSO al NUOVO (LATERZA - Tempi Nuovi, PP. 149, EURO 14,00) "Volevamo tante cose un quarto di secolo fa e più. Volevamo dimenticare i Beatles, volevamo i pantaloni, volevamo essere gli U2, volevamo l'interrail, il progetto Erasmus e notti magiche inseguendo un gol. Volevamo la rete libera, le frontiere libere, la pantera libera". L'ultimo libro di Marco Damilano, giornalista (vicedirettore dell'Espresso), edito da Laterza nella sua ritrovata collana Tempi Nuovi, fa un'analisi dettagliata della parola d'ordine che ha accompagnato tutta la storia recente del paese almeno dal crollo della Prima Repubblica, e il cui dogma ha attraversato tutta la Seconda.
    Grandi riforme, palingenesi giudiziarie, rivoluzioni liberali, rivolte in Rete, rottamazioni, referendum epocali. Per decenni l'Italia ha inseguito il mito del nuovo inizio. Il Nuovo ha modellato tutte le identità politiche: la sinistra, la destra, il centro. È comparso negli anni Ottanta, si è espresso in tutta la sua potenza all'alba degli anni Novanta, dopo lo scatto felino della storia provocato dalla caduta del muro nel cuore dell'Europa. Ed è diventato senso comune con la Seconda Repubblica: il restyling dei nomi e dei simboli, i modernizzatori contro i conservatori, gli innovatori contro i nostalgici. Nuovo si è presentato il Cavaliere dell'eterno presente. Nuovi i tecnici come Mario Monti. Nuovissimi i cittadini scelti dalla Rete nel Movimento 5 Stelle. E ancor più nuovo il renzismo della rottamazione dove tutto doveva apparire mai visto, mai udito, senza precedenti. Il Nuovo è stato la via italiana al governo e alla politica. Ora sembra smarrito, per incapacità di elaborazione, fragilità culturale, inconsistenza progettuale. Ma nessuna restaurazione del passato è possibile.
    "Il 'nuovo' ha consumato se stesso perché senza progetto. Con il 'passato', ha buttato via anche il futuro. I suoi paladini si sono rivelati clamorosamente inadeguati alle sfide, hanno deluso chi voleva cambiare e tradito chi ci aveva creduto". Una politica secondo Damilano appiattita sui risultati elettorali, sui numeri, sui bilancini e i contrappesi interni, sulla drammatica autoreferenzialità dei suoi esponenti, nell'incapacità di innescare qualsiasi progetto di cambiamento.
    Eppure L'Italia ha gran bisogno del nuovo, è un paese immobile, con resistenze gigantesche e pezzi dello stato inerti a ogni trasformazione. "Crisi", altra parola fondamentale dell'attuale lessico politico. Una crisi ormai permanente, che si è trasformata in un nuovo stato dell'arte a cui non è più possibile rispondere se non con elementi di pura gestione della contingenza. Una storia che arriva da lontano, uno stato di emergenza totale che non permette più soluzioni di lungo periodo, ma valide per un orizzonte che si rinnova ogni giorno.
    "Per Renzi e per Grillo la partita resta aperta- fa notare Damilano - e proseguirà fino alle prossime elezioni, con il terzo incomodo di una destra divisa tra il sovranismo di Salvini e l'ennesima resurrezione di Berlusconi - lui ormai non ci prova neppure più a presentarsi come una novità. Ma in questo gioco che va avanti da anni sia Renzi sia Grillo hanno perso per strada la loro carica di cambiamento. Proseguiranno a presentarsi come il nuovo, cacciatori di futuro, ma nuovi non sono più. Il Nuovo è smarrito. E questa è una responsabilità in più per chi farà politica, o proverà a raccontare la politica nei prossimi anni. Evitare la restaurazione del passato remoto che non può tornare. Rimanere disincantati di fronte al restyling dei rinnovatori degli ultimi anni. Archiviare gli alfieri del nuovo e difendere l'ansia di cambiamento delle generazioni future".
    Questo è, infine, quel che rivela alla coscienza degli italiani la parabola del Nuovo di questi decenni. "Che il cambiamento non è spettacolo, non può essere affidato ai giocolieri o ai salvatori della patria. Dopo gli uomini del Nuovo, per salvare e difendere le innovazioni serviranno gli uomini della transizione, gli 'eroi della ritirata', personaggi alla frontiera tra il vecchio e il nuovo, destinati all'incomprensione e non spaventati dall'impopolarità, disposti a rinunciare a qualcosa di se stessi e della loro narrazione.
    Uomini del ponte, alternativi alla richiesta di uomini forti che avanza in Occidente, e anche in Italia, figure che in una situazione di crisi non scommettono sull'individualismo, sull'atomismo, sulla rabbia dei singoli che si sentono abbandonati e lasciati soli, ma che al contrario partecipano a puntellare il tessuto che tiene insieme una società. È questo il nuovo che serve. Il riformismo è umile, tenace, paziente, accetta cadute e successi, sa che la storia è una strada tortuosa e non lineare. È la ricerca mai saziata di 'terre nuove e cieli nuovi'. E il Nuovo - sottolinea l'autore - è sempre una costruzione, una ricostruzione. Una rigenerazione".
   

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