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Kotha, donne del Bangladesh a Roma

Kotha, donne del Bangladesh a Roma

Carnà-Rossetti firmano studio sulla comunità della capitale

ROMA, 25 maggio 2018, 10:05

Daniela Giammusso

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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KATIUSCIA CARNA' e SARA ROSSETTI, KOTHA. DONNE BANGLADESI NELLA ROMA CHE CAMBIA (EDIESSE, PP. 216 - 14,00 euro). ''Roma... io vivo qua, Roma è la mia città, è tutto per me Roma'', racconta Hilda, 25 anni. ''Non mi sento a casa mia quando sto in Bangladesh - le fa eco a distanza Zahra - Infatti non vedo l'ora di tornare in Italia. Quindi per me l'Italia è tutto''. ''Sono i mariti che non le fanno lavorare, io sono fortunata perché mio marito è così aperto... tante altre donne no, le portano qui per crescere i figli e cucinare e basta. A lavoro tutti mi vogliono bene, anche quando parlano male degli stranieri poi dicono: Ma no Tasfi, tu sei diversa...''. ''Non riesco immaginare di vivere altrove - chiosa Lisa - Con i pregi e difetti, mi piace questo Paese. Non andrei mai via, non posso cambiare tutto un'altra volta''. Sono alcune delle voci al femminile protagoniste e testimoni di ''Kotha - Donne bangladesi nella Roma che cambia'', volume pubblicato da Ediesse nella collana Sessismoerazzismo e uno dei pochissimi studi sulla comunità bangladese, così poco indagata nonostante sia l'ottava comunità straniera per numero di presenze in Italia e la terza nel Lazio (IDOS e Istituto S.
    pio V, 2017). Autrici sono Katiuscia Carnà e Sara Rossetti, studiose, mediatrici linguistico-culturale religiosa e insegnanti nei corsi di lingua italiana per migranti, sposate con uomini musulmani provenienti dal Bangladesh e dal Bengala occidentale, che proprio per questa loro posizione personale sono riuscite ad avere la fiducia (e le confidenze) delle intervistate. Non a caso, raccontano nel libro, le chiamavano ''Vhabi ''(moglie del fratello maggiore) e ''Apu'' (sorella).
    Ne è nato un racconto (''Khota'', appunto) che apre una nuova visuale su questa realtà, raccontandola dal ''dentro'': dentro le pieghe dei quartieri di Roma, dentro la comunità geo-culturale e soprattutto ''tra'' le donne bangladesi, che negli ultimi anni sono cresciute in maniera esponenziale in Italia fino a rappresentare il 30% delle presenze tra i loro connazionali. I dati parlano di casalinghe e mamme, arrivate al seguito del marito (o per sposarlo), che parlano poco l'italiano e vivono a strettissimo contatto con la comunità etnica e nei quartieri a forte concentrazione immigrata. Sono donne giovani (il 62% ha meno di 29 anni), solo il 14,1% lavorerà (dato però in crescita). Ma oltre il muro dei numeri ci sono le storie, coperte da nomi fittizi, che raccontano di solitudine, diseguaglianza, oppressione, ma anche di accoglienza, forza, desiderio, a cavallo tra l'Italia e il Bangladesh, a volte con il sogno del Regno Unito all'orizzonte. La storia di Roma, capitale del Sacro, da sempre meta di grandi immigrazioni, che ne hanno cambiato la storia, il tessuto sociale, l'aspetto, si intreccia così indissolubilmente con quella di un paese lontano migliaia di chilometri, a maggioranza mussulmana ma con una minoranza hindu significativa, divenuto indipendente solo nel 1971. Accompagnati dal reportage fotografico di Alice Valente Visco e alcuni scatti di Stefano Romano, si parte in viaggio tra quartieri come l'Esquilino e Torpignattara (denominato, non a caso, Banglatown dalla stessa comunità) seguendo temi come il legame con la città, il sentirsi o meno ''a casa'', la percezione del razzismo, il rapporto con la religione, con la lingua madre, con il proprio Paese d'origine, la sua storia, la sua attualità. E si scopre un volto nuovo di Roma, dove le donne, casalinghe o imprenditrici, madri e giovani nuove italiane devono fare i conti tra ciò che 'erano' e ciò che 'sono'. Tra gli occhi di chi le guarda e l'immagine di chi loro sentono di essere. Spesso, relegate in un limbo, non più a ''casa'' ma non ancora integrate, eppure potenzialmente così piene di risorse.
   

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