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Clandestino, storia di Mohammed

Clandestino, storia di Mohammed

In libreria l'esordio del diciottenne Guglielmo Mihelj

ROMA, 12 giugno 2018, 15:19

Marzia Apice

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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GUGLIELMO MIHELJ, CLANDESTINO.   ISPIRATO A TROPPE STORIE VERE (Vertigo, pp.208, 14 euro). C'è tutta la passione dei suoi 18 anni in Clandestino, il libro che Guglielmo Mihelj, classe 2000, studente al quarto anno di un liceo romano, ha scritto ispirandosi alle tante storie di chi scappa dal proprio Paese per fuggire dalla guerra e dalla fame e provare a vivere in Europa. Pubblicato da Vertigo, il libro racconta il calvario del diciassettenne siriano Mohammed che partito da Raqqa affronta un terribile viaggio per arrivare in Italia. Dapprima le inumane condizioni senza cibo né acqua dentro i camion, poi la sfida di affrontare il mare a bordo di una imbarcazione fatiscente, alla mercè di scafisti senza scrupoli. Infine lo sbarco a Lampedusa con il salvataggio da parte degli italiani, le cure in ospedale e la lunga attesa nel Cie prima di veder riconosciuto il proprio status di rifugiato.
    Ma i problemi per Mohammed, che diviene per Mihelj il simbolo di ogni immigrato, non finiscono di certo una volta conquistata la libertà di muoversi per l'Italia. Senza soldi né aiuti, dovrà scontrarsi con l'assenza di lavoro a Milano e poi, quando lo troverà in Calabria, con la vergogna criminale del caporalato. Ma per fortuna dopo tante traversie, cortei, occupazioni e scontri, riuscirà a raggiungere Roma, dove proverà a realizzare il sogno di studiare fisica all'università. Di pagina in pagina balzano agli occhi i 18 anni dello scrittore, sia nel bene che nel male: c'è la forza appassionata di alcune convinzioni nello 'sposare' la giusta causa dei rifugiati; ma ci sono anche un po' di ingenuità nell'analisi di un problema complesso come l'immigrazione. C'è poi la voglia raccontare la storia di Mohammed rendendola 'esemplare', a cui si accompagna una scrittura promettente ma ancora non matura. Di certo Clandestino ha il merito di voler accendere i riflettori sul lato più umano delle tante storie di disperazione che la cronaca anche di oggi ci racconta con la vicenda dell'Aquarius, anche inchiodandoci di fronte alle nostre responsabilità, alla nostra spesso colpevole indifferenza verso chi chiede solo di avere un futuro da vivere. In fondo il destino del siriano Mohammed è lo stesso degli eritrei, degli iracheni, dei somali, dei congolesi, dei curdi, degli asiatici che incontra mentre scappa dal suo Paese e inizia per tutti con un viaggio che unisce la speranza alla privazione e al dolore. "Nessuno era diverso. Erano tutti umani - scrive Mihelj - e avevano tutti freddo. E cercarono di unire quel poco di calore che i loro corpi possedevano per scaldarsi tutti. E quel poco di vita che restava loro per cercare di farne una intera". Dopo il viaggio, ammesso che si resti vivi, c'è l'incognita di cosa accadrà in un Paese che prova ad accogliere ma che forse non lo fa nel modo giusto o forse non è in grado di farlo pienamente.
    Mangiare, non delinquere, trovare un lavoro che non sia mero sfruttamento, conquistarsi la propria tranquillità saranno diritti accessibili a tutti i richiedenti asilo? Una domanda a cui l'Europa, non solo l'Italia, è chiamata a dare una risposta.
   

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