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di Michele Baccinelli
ANSA MagazineaMag #008
I figliocci del 'Paz'

Fumetto italiano, la new wave

Un settore ingessato e statico, all'inizio ci volle Pazienza (era il 1977...)

  Sono passati più di 25 anni dalla morte di Andrea Pazienza, ma mai come adesso il fumetto italiano sembra essere in grado di raccogliere i frutti dell’eredità dell’autore più rivoluzionario del panorama tricolore. Era il 1977 quando apparve il suo primo lavoro e fu un fulmine a ciel sereno. In un settore ingessato e statico, dominato dalle lontane praterie di Tex e dalle foreste pluviali di Zagor, in cui l’unica concessione alla modernità stava arrivando dalla rivista Linus, irrompe Pentothal, il primo personaggio uscito dalla matita di Pazienza, allora appena ventunenne.

  Autobiografico fino quasi al narcisismo, Pentothal, narrando le rivolte studentesche della Bologna di quegli anni, è una linea di separazione fra il fumetto com’era e come sarebbe stato. Con un frullato incredibile di stili, dagli adorati Moebius e Magnus, i particolari impossibili di Jacovitti, passando per gli animali di Walt Disney mixati nella pop-art di Andy Warhol e nella fisionomia sgraziata di Munch, Pazienza per la prima volta in Italia separa nettamente il racconto disegnato da quello parlato, quest’ultimo ricco di neologismi, slang colloquiali e volontarie sgrammaticature.

   Nel fumetto fanno il loro debutto la droga pesante (fino ad allora il Pentothal lo usava Diabolik, ma solo per stordire le vittime dei suoi furti), i manganelli della polizia, le molotov dei manifestanti, ma anche, con l’irriverenza tipica di Pazienza unita ad un rispetto che sfociava nell’affetto, un presidente della Repubblica. Un Sandro Pertini tanto divertito dalle copertine e dalle storie di Pazienza da telefonare di persona alla redazione de Il Male per chiederne una copia e invitare lo stesso autore a pranzo al Quirinale. Un pranzo a cui Pazienza non partecipò mai, portato via prima del tempo dal suo stesso male di vivere.
 

  Ma la rivoluzione innescata dall’unica vera rockstar del fumetto italiano non si è più fermata. Da Tanino Liberatore, autore di quel Rank Xerox padre putativo del Terminator di Schwarzenegger, in poi, il fumetto italiano ha saputo di volta in volta rinnovarsi e crescere di qualità, fino ad arrivare ai giorni nostri dove la popolarità degli autori è in costante crescita. Da Leo Ortolani, creatore di Rat-Man, parodia fantozziana di Batman a cui la Rai ha dedicato un cartone animato, a Massimo Carnevale, copertinista dal gusto eccelso e ormai di fama mondiale grazie ai lavori per le case americane, fino alle nuove leve di autori, fra cui spicca Roberto Recchioni, affermatosi su piccoli capolavori nostrani come John Doe e Detective Dante e ora chiamato a rivitalizzare storie e vendite di Dylan Dog, oltre che autore della prima serie a fumetti in formato Bonelli interamente a colori. Fra questi, che fra loro costituiscono una sorta di piccola Dead Poets Society, ne scegliamo solo alcuni  dei suoi figli più o meno legittimi, senza nulla togliere alla qualità degli altri, con l’invito di andarli a scoprire tutti.

I figli del genere: Gipi, il corso truffa e l'amore per il Paz

Fumetto - Gianni Gipi

 Gianni Pacinotti: Gipi quando disegna o Gian Alfonso Pacinotti, il “nome (quasi) vero” che usa dietro la macchina da presa in onore del padre che gli regalò la sua prima super8. Compiuti da poco i 50 anni, può vantare un piccolo record: il suo ‘unastoria’, uscito l’anno scorso dopo diversi anni di assenza dalle scene con produzioni sulla lunga distanza, è il primo fumetto che viene candidato al Premio Strega per la letteratura.

  Perché il lavoro di Gipi, tratto personalissimo fatto di figure sgraziate e paesaggi spettacolarizzati dall’uso sapiente dell’acquerello, rasenta in effetti la letteratura. Come molti dei suoi coetanei parte dall’amore ai limiti dell’emulazione di Andrea Pazienza (“l’ho conosciuto ad un corso di fumetto truffa a casa di Jacopo Fo” e lo “amavo alla follia”) con lavori autobiografici e ironici, tanto che lo spettacolare LMVDM – La Mia Vita Disegnata Male – per molti è la versione degli anni correnti del Pompeo di Pazienza.

  Col tempo, però, Gipi si è ritagliato un ruolo più composito, quasi intimistico. Una nuova versione di se stesso e del suo disegno che è confluita in ‘unastoria’, dove si incrociano le fobie e le crisi di identità di un personaggio dei nostri tempi e quelle del suo bisnonno, ‘conosciuto’ attraverso le lettere che scriveva alla bisnonna prima di uscire dalla trincea che lo difendeva dagli attacchi austriaci.


Una storia di Gipi

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Makkox, quel genio cattivo dal web alla tv

Un fumetto di Makkox

  “Cos'è il Genio? È fantasia, intuizione, colpo d'occhio e velocità d'esecuzione”. La descrizione migliore dell’opera di Makkox, al secolo Marco Dambrosio, arriva direttamente dalla bocca dell’architetto Rambaldo Melandri di Amici Miei di Monicelli. Perché Makkox, difficile non ammetterlo, è genio puro. Nella capacità di cogliere in un attimo la spigolatura giusta, rivoltarla come un calzino e offrirla al lettore da un’angolatura inedita, dissacrante e ironica, con una cattiveria che solo la satira ai massimi livelli può permettersi senza sfociare nella volgarità.

  Nasce come grafico, ma nel 2007 sbarca sul web con un blog, adattando le sue vignette al senso verticale, fra i primi a farlo, per facilitarne la lettura sullo schermo del computer attraverso l’uso dello scrolling. Da lì al successo il passo è breve: prima un libro, poi una rivista mensile, Il Canemucco, che chiude troppo presto, ma dopo pochi mesi Makkox sbarca su Il Post, “scopre” la politica e diventa un punto di riferimento per la satira sul BelPaese.

   I vari interpreti della scena diventano tutti delle icone, sempre uguali a se stessi: Berlusconi e le sue scarpe a punta e tacco 10, la cotonatura esagerata di Mario Monti, l’infinita magrezza di Fassino. Ma la capacità di Makkox è, appunto, quella di cogliere nel segno in un istante: anche ora che, trasferitosi su Rai3 al fianco di Diego Bianchi a Gazebo, usa lo slow motion per movimentare le sue strisce, resta immediatamente riconoscibile e come sempre esilarante.


Tutti in fila per Zerocalcare

Zerocalcare

    C'e' chi per avere un suo schizzo rimane in fila per ore, chi per leggere una sua striscia nuova di zecca rimane al pc fino alle tre del mattino, chi non lesina complimenti e lusinghe ma anche chi, come sempre succede nell'implacabile mondo del web, non aspetta altro che coglierlo in fallo. Il successo di Michele Rech, in arte Zerocalcare, e' degno di un attore o di una rockstar.

   Eppure questo ragazzo degli anni 80, nato come da cliche' ai bordi di periferia, si è ormai trasformato in un fenomeno di massa . Zerocalcare, insieme al suo inseparabile spirito critico sotto forma di Armadillo (che presto debutterà in un film sotto la regia di Valerio Mastandrea), è innanzitutto divertente, in alcuni non sporadici casi esilarante. I riferimenti al bagaglio culturale pop degli anni ‘80 sono un must: che tiri fuori dal cappello dei ricordi personaggi di telefilm (da Magnum PI in poi) e di cartoni animati (I cavalieri dello Zodiaco e Ken il guerriero sono elevati a filosofia di vita), o merendine di cui tutti si sono abbuffati prima o poi nella vita, il suo è un gioco facile. La sua forza sta proprio nell'utilizzare in modo originale, svelto ed insolito personaggi stranoti all'immaginario collettivo.

   E' riconoscendo quei personaggi e quei riferimenti che il lettore si identifica nel protagonista delle storie, sempre più o meno autobiografiche, e sono quegli stessi riferimenti che rassicurano chi legge e gli permettono di andare oltre la superficie e di condividere con Zero anche sentimenti più veri e profondi, trattati sempre con delicatezza e rispetto. E' così che in quelli che da strisce si sono trasformati in libri si passa dalla risata fragorosa ed eccessiva alla commozione e al pianto. Un polpo alla gola, uno dei 4 graphic novel di Zerocalcare, è in questo senso un piccolo capolavoro. Una storia semplice, una storia qualsiasi, una storia vera.

 


Ecco i figliocci di Pazienza

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