Anche gli striscioni resistono. Appena sfilacciati dal vento e sbiaditi dal sole, lungo la facciata del teatro più antico di Roma restano le due strisce di stoffa con la scritta rossa ‘Come l’acqua come l’aria riprendiamoci il Valle’. Allora, una mattina di giugno di tre anni fa, era uno slogan, una speranza non più lunga di qualche giorno. E invece ne sono passati oltre 1000 e il Valle - gioiello dell'Ente teatrale italiano che ne aveva la proprietà e la gestione - è ancora ‘preso’. Anzi occupato da lavoratori dello spettacolo, studenti, ricercatori che lo tengono aperto tutti i giorni tra corsi, laboratori di scrittura, proiezioni.
Il 14 giugno di tre anni dopo nel cuore di Roma, a due passi dal Senato, non c'è voglia di festeggiare. Il limbo delle decisioni che si rimpallano tra il ministero dei beni culturali e il Comune di Roma e lo statuto della ‘Fondazione teatro Valle bene comune’ registrato in autunno ma bocciato dal prefetto di Roma, non mettono di buon umore. Eppure il Valle guarda avanti. E scommette sull’auto-produzione: ‘Il macello di Giobbe’, spettacolo diretto da Fausto Paravidino, sarà la prima produzione del teatro Valle occupato e debutterà il 23 settembre.
Dalla soppressione dell’Eti decisa con il decreto 78 del 2010, la sorte del Valle ha preso un'altra piega rispetto agli altri due teatri gestiti dall'ente cioè la Pergola di Firenze e il Duse di Bologna. Il primo trasformato in fondazione con un milione e mezzo di euro del Comune fiorentino, allora guidato da Matteo Renzi, e un milione della Cassa di risparmio di Firenze. L’altro ‘salvato’ da una cordata di imprenditori ed enti privati e con 3000 abbonati all’ultima stagione.
Nella Capitale invece una soluzione o un progetto non sono all’orizzonte. Né il sindaco Alemanno né il suo successore hanno mai incontrato gli occupanti, e non ci sono stati tentativi di sgombero. Poche settimane fa Marino ha assicurato che entro l’estate troverà una soluzione ‘’che tenga in equilibrio la creatività di alcuni artisti con la legalità. Certamente non possiamo tollerare l’illegalità’’, ha rimarcato. E illegali i ragazzi del Valle lo sono perché, tra l’altro, non pagano le bollette (‘’Pensiamo che lo faccia il Comune, perché le utenze non sono mai state staccate’’) né la Siae. Pagano invece attrezzature, attori e maestranze (con il minimo sindacale) grazie alle offerte libere ribattezzate ‘quote di complicità’ chieste al pubblico agli spettacoli. Da parte hanno un tesoretto di circa 200 mila euro, di cui 143 mila donati dai cittadini con una raccolta fondi, il resto sono quadri e sculture regalate da artisti. ‘’Ma sono soldi bloccati – ripetono - sono il capitale sociale della fondazione e non si toccano finché la fondazione non funzionerà davvero’’. Nel frattempo non perdono la speranza ma si impuntano: ‘’Non siamo contrari all’idea che nella fondazione entrino enti pubblici o privati ma ognuno deve valere uno e senza imporre che tipo di arte produrre’’.