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Teatro: Napoli Festival, La scuola di Enzo Moscato

Fascinoso, poetico spettacolo 'Ronda degli ammoniti'

NAPOLI ANSAcom

I morti tornano, si confondono con i vivi per renderli coscienti, per aprire in loro la ferita della memoria che è l'unica conoscenza proficua, l'unico bagaglio con cui tutti dobbiamo fare i conti per andare avanti. E' questo uno dei temi di fondo del teatro di Enzo Moscato ed è ora al centro di questa intensa, vivace, poetica e per molti versi disperata sua ''Ronda degli ammoniti'' che si svolge nel 1917, durante la Grande guerra, ma non può non farci pensare anche a oggi. Lo spettacolo ha aperto la sezione dei lavori italiani del Napoli Teatro Festival, che prosegue sino al 14 luglio con i suoi circa duecento appuntamenti per tutta la città e non solo. Siamo al Teatro Nuovo, nei quartieri spagnoli, e entriamo tra i banchi e la cattedra di una classe di III elementare della scuola Emanuele Gi (Gianturco) di quella stessa zona, di Montecalvario, dietro Via Toledo, nella città di N, che la tradizione naturalmente animistica dei napoletani vuole visitata dai morti, da tutti quei ragazzi che secondo una storia-leggenda si dice, ''madonna mia!'', si siano suicidati ''a suo tempo'' buttandosi dalla ringhiera del quarto piano nel cortile, davanti alla guardiola del custode Attila. Del resto sono ragazzi che vengono da una realtà, una vita miserrima dove la morte è di casa, ci convivono, così si parla dell'assenza di un bambino, perché la madre ha buttato tanto sangue dalla bocca e portata in ospedale vi è morta, poi di una bambina preda della tosse, la cui famiglia è stata decimata dal fatto che tutti si passano la tisi l'uno con l'altro. Quindi non impressiona nessuno che tra i banchi compaiano ex alunni in laceri abiti da militare che, richiamati in guerra, sono morti, come immagina Moscato, che vede i piccoli suicidi mossi dal terrore di chi appunto è sicuro che sarà presto destinato a fare la fine del topo, della ''zoccola'', in un fetida trincea per non si sa quali vuoti ideali ripetuti dal maestro senza convinzione. Siamo davanti a una scuola vecchia, dogmatica, retorica che non riesce a fare il suo lavoro, tanto più in momenti di grande cambiamento storico-sociale, ieri come oggi, non riuscendo a essere un valore, a dare gli strumenti per arginare appunto la paura del vuoto del domani. Detto questo, naturalmente Moscato non costruisce uno spettacolo didascalico, ma partendo dal dato realistico ne rompe tutti i confini, per sondare e far affiorare con la magia del teatro, della sua lingua (il napoletano di Moscato), delle sue invenzioni, scarti, irruzioni, quanto di metafisico, di psicologico, di antropologicamente culturale c'è sotto. Lo fa con i suoi raffinati strumenti culturali, ma soprattutto con la verità, lo stupore della rabbia e della protesta innocente che si porta dentro (e mette in bocca al comportamento e gli interventi incisivi di uno degli alunni, che interpreta lui stesso, citando Pinocchio come Eduardo), quella di chi, come questi personaggi, è cresciuto nei vicoli di Montecalvario, nella miseria dell'immediato dopoguerra. I morti portano con sé la concretezza del reale, mentre i bambini giovani sono l'ancora inespresso, la potenzialità dell'innocenza, la difficoltà di adattarsi, dibattendosi tra irriverenza e rigidità mentale candidi come la neve. Così tra echi diversi, un ''Piave mormorava'' intonato da tutti assieme come frivole arie d'operetta, si finisce con un emblematico ''De profundis'' in bocca ancora a Moscato, ora nelle vesti nere di un prete. Con lui, autore, attore, regista, tutti applauditissimi alla fine nella scena tetra di Clelio Alfinito, sono Benedetto Casillo, Simona Barattolo, Salvatore Chiantone, Ciro D'Errico, Giovanni Di Bonito, Tonia Filomena, Amelia longobardi, Francesco moscato, Antonio Polito, Michele Principe.

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