Sale l'onda delle vittime del coronavirus nel Regno Unito, pericolosamente più vicina ai numeri di Paesi come Italia o Spagna. E si moltiplicano i morti fra i medici, testati assieme agli infermieri in proporzioni ancora minime (2000 in tutto su 550.000 operatori sanitari secondo i dati di mercoledì), come denunciano le associazioni di categoria nonostante gli impegni del governo di Boris Johnson.
L'ultimo 'caduto' in camice bianco di cui hanno raccontato i giornali britannici è stato il dottor Alfa Saadu, 68 anni, in pensione dal 2016, ma tornato in servizio fin dall'inizio dell'emergenza per dare una mano ai colleghi in trincea nell'ospedale Queen's Victoria Memorial, a Welwyn, nella contea dell'Hertfordshire, in Inghilterra meridionale. Contagiato quasi subito dal Covid-19, Saadu - nigeriano di nascita, impegnato nel lavoro ospedaliero nel Regno per quattro decenni in gran parte trascorsi fra le corsie del Princess Alexandra Hospital di Harlow, non lontano da Londra, ma attivo anche in attività umanitarie per l'Africa - è spirato nel giro di due settimane, ha confermato suo figlio Dani. In totale i media dell'isola conteggiano finora, fra le prime vittime sacrificali, non meno di quattro medici uccisi in pochi giorni oltremanica dal coronavirus. Tre dei quali già pensionati, eppure rientrati generosamente a disposizione del sistema sanitario nazionale (Nhs). Gli altri nomi noti, accanto ad Alfa Saadu, sono quelli dei dottori Amged el-Hawrani, 55 anni, Adil el Tayar, 63, e del 76enne Habib Zaidi: tutti di origine straniera, tutti di fede o di famiglia musulmana, e tutti eroi di quella "New Britain" multicolore a cui non sempre una parte del Paese - tabloid ed establishment inclusi - sa guardare in tempi normali con fair-play e senza pregiudizi più o meno nascosti. Per non dire con occhio amico.