Due giorni fa a Gerusalemme, con l'inizio delle celebrazioni per il Giorno dell'Indipendenza, dodici esponenti di spicco della società israeliana hanno ricevuto l'onore di accendere altrettante fiaccole. Fra questi vi era una ragazza di 20 anni: Yasmine Mazawi, una araba della Galilea, distintasi come volontaria nel Magen David Adom (equivalente della Croce Rossa) nei giorni frenetici di lotta al coronavirus. "Proprio in occasioni come questa - ha detto oggi alla stampa il dott. Thabet Abu Ras, direttore della società di cooperazione arabo-ebraica 'Iniziative di Abramo' - è venuto alla luce che la pandemia colpisce tutti indistintamente, che dobbiamo essere uniti nella lotta". E se gli arabi in Israele sono il 20 per cento, "negli ospedali - ha notato con orgoglio - sono il 30 per cento".
Certamente nei rapporti fra la minoranza araba ed il governo ci sono sempre, a suo parere, non poche ombre. Nell'ultima campagna elettorale sono giunte loro "espressioni tossiche" da parte di esponenti di destra. I compensi elargiti dalle autorità a chi ha avuti danni diretti dal coronavirus hanno raggiunto il settore arabo "in maniera molto ridotta". Anche la autorizzazione data dal governo (e poi bloccata dalla Corte Suprema) al monitoraggio da parte dello Shin Bet (servizi segreti) dei telefoni dei contagiati "ha destato apprensioni". Tuttavia agli arabi israeliani la pandemia appare anche come una attesa occasione di emancipazione: non solo negli ospedali, ma anche nella politica dopo che la loro Lista Unita ha ottenuto, alle ultime elezioni, 15 dei 120 deputati della Knesset. "L'israeliano medio comprende finalmente - ha concluso - che vogliamo integrarci in pieno nella società".
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