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Monicelli 10 anni dopo ci manca la sua intelligenza

Monicelli 10 anni dopo ci manca la sua intelligenza

Libero pensatore, chissà cosa avrebbe detto dell'Italia di oggi

ROMA, 28 novembre 2020, 13:22

Redazione ANSA

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Quanto sono lunghi cinque piani se a quella caduta è affidata la scelta di mettere fine alla propria vita? 10 anni fa, il 29 novembre 2010 ci ha lasciati Mario Monicelli di professione regista, di vocazione libero pensatore.
    Ricoverato in una clinica romana e consapevole di non avere speranze, scelse di porre fine alla sua vita gettandosi dalla finestra della stanza, al quinto piano. Arguto, solitario, generoso, tagliente, Mario Monicelli ci ha privato troppo presto di un'intelligenza vivida che, come pochi altri, ha fotografato l'Italia nelle sue mille trasformazioni dal dopoguerra ad appena ieri. Nato a Roma il 16 maggio 1915, ha avuto una bella e lunga vita accompagnata da tre figli e due matrimoni che, nel caso di Chiara Rapaccini, è stato un sodalizio di complicità durato fino alla fine. La sua carriera è ricca di soddisfazioni nonostante abbia bussato sei volte invano alla porta dell'Oscar. Ma con "La grande guerra" ha vinto il Leone d'oro nel 1959 e Venezia gliene ha consegnato un secondo, alla carriera, nel 1991. Insieme a Dino Risi e Luigi Comencini è il maestro indiscusso della commedia all'italiana, ma rispetto ai colleghi il suo cinema dimostra una maggiore libertà espressiva e una precisione nella critica sociale che ne ha fatto un osservatore implacabile di vizi e virtù del Belpaese. Con i suoi film si potrebbe disegnare un profilo dei momenti salienti della nostra storia, dalla grettezza papalina del primo '800 ("Il marchese del Grillo") alle lotte operaie di fine secolo ("I compagni"), dalla prima guerra mondiale ("La grande guerra") alla povertà del dopoguerra ("Totò cerca casa" o "Guardie e ladri"), dalla guerra d'Africa ("Le rose del deserto") ai tentativi di golpe degli anni '60 ("Vogliamo i colonnelli"), fino alla rivoluzione sessuale degli anni '60 ("La ragazza con la pistola"), agli anni di piombo ("Un borghese piccolo piccolo") e al femminismo ("Speriamo che sia femmina"). Ma oltre al successo del Leone d'oro la sua fortuna critica è legata a ben tre memorabili saghe da lui avviate: "I soliti ignoti", "L'armata Brancaleone", "Amici miei".
   

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