Quotidiano Energia - “La Ue non fa abbastanza per dirigere i fondi disponibili verso attività sostenibili”. E’ un giudizio senza mezzi termini quello della Corte dei Conti europea, secondo cui serve una “maggiore coerenza negli interventi”.
In una relazione speciale pubblicata ieri - e dal significativo titolo “Finanza sostenibile: la Ue deve agire in modo più coerente per reindirizzare i finanziamenti verso investimenti sostenibili” - la Corte valuta l’attuazione del piano d’azione presentato dalla Commissione nel 2018 e le misure contenute nella successiva strategia dello scorso luglio, giungendo alla conclusione che se da un lato Bruxelles “ha correttamente focalizzato la propria azione su una maggiore trasparenza del mercato”, dall’altro “mancano misure di accompagnamento per fronteggiare i costi ambientali e sociali delle attività economiche non sostenibili”.
“Le attività non sostenibili sono ancora troppo redditizie: la Commissione ha fatto molto per rendere trasparente questa insostenibilità, ma il problema di fondo deve essere ancora affrontato”, ha dichiarato il membro della Corte responsabile della relazione, Eva Lindström, che chiede l’introduzione entro la fine dell’anno prossimo di misure aggiuntive per far sì che i prezzi delle emissioni di gas-serra rispecchino meglio il costo ambientale.
Secondo i giudici lussemburghesi, la Commissione dovrebbe inoltre applicare “criteri coerenti per determinare la sostenibilità degli investimenti finanziati dal bilancio Ue ed effettuare interventi più mirati per creare opportunità di investimento sostenibile”. Tanto più che le procedure di monitoraggio del contributo del bilancio Ue agli obiettivi climatici “non sono rigorose e scientificamente fondate quanto i criteri della tassonomia”.
Tassonomia che peraltro risulta ancora in ritardo. “Resta da determinare la sostenibilità di alcune attività e tecnologie importanti dall’impatto ambientale significativo, quali l’agricoltura, la produzione di elettricità da gas naturale e l’energia nucleare”, si legge nella relazione.
Non solo. La Corte rileva che il bilancio Ue non applica pienamente le buone pratiche in materia di finanza sostenibile e che “mancano criteri scientifici uniformi per evitare danni significativi all’ambiente”. Solo nel programma InvestEU gli investimenti vengono valutati rispetto a standard sociali e ambientali paragonabili a quelli utilizzati della Banca europea per gli investimenti (Bei), con il rischio – stigmatizza la relazione - che “per stabilire la sostenibilità ambientale e sociale delle medesime attività finanziate da programmi Ue diversi, tra cui il Recovery Fund, possano essere utilizzati criteri non sufficientemente rigorosi o non uniformi”.
La raccomandazione è perciò di “applicare uniformemente in tutta la Ue il principio ‘non arrecare un danno significativo’, come dovrebbe avvenire anche per i criteri della tassonomia”.
Un altro punctum dolens della politica Ue è la mancanza di un “approccio proattivo volto a creare una riserva sufficiente di progetti sostenibili”. In questo senso, i Pniec sono stati tra l’altro concepiti proprio per favorire lo sviluppo di una riserva di progetti sostenibili nel settore del clima e dell’energia, ma “le informazioni sul fabbisogno di investimenti contenute nei piani sono incomplete, disomogenee e mostrano ampie divergenze”. Anche perché “la Commissione, pur avendo fornito sostegno agli Stati membri, non ha sviluppato un quadro comune che potessero applicare nel valutare le proprie esigenze e nell’individuare progetti faro sostenibili”.
Alcuni Pniec potrebbero quindi “non contribuire a creare una riserva credibile di progetti sostenibili nei settori e nelle regioni in cui attualmente mancano”.
Di conseguenza, la Corte raccomanda di creare, in cooperazione con gli Stati membri, una riserva di progetti sostenibili entro la fine del 2023.
La relazione si sofferma infine sul sostegno finanziario Ue (gestito dalla Bei) al Fondo europeo per gli investimenti strategici (Feis), che “non è stato concentrato là dove gli investimenti sostenibili sono maggiormente necessari, in particolare nell’Europa centrale e orientale”, ed è stato speso “solo in minima parte per l’adattamento ai cambiamenti climatici”.