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Ministra e Sindaca, la parità femminile passa per il linguaggio

Ministra e Sindaca, la parità femminile passa per il linguaggio

Cosa accade in altri paesi? Come dice la Boldrini non adeguarsi è resistenza culturale

09 marzo 2017, 08:39

Redazione ANSA

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Un gruppo di persone al lavoro . ph. Tom Merton iStock. - RIPRODUZIONE RISERVATA

Un gruppo di persone al lavoro . ph. Tom Merton iStock. - RIPRODUZIONE RISERVATA
Un gruppo di persone al lavoro . ph. Tom Merton iStock. - RIPRODUZIONE RISERVATA

Attenzione alle parole, le parole sono importanti, per citare Palombella Rossa. Il linguaggio è espressione sociale, segue l'evoluzione dei cambiamenti, testimonia il tempo. La piena parità passa anche per la grammatica e questo è un tema che da qualche anno si è posto: aggiornare i termini, non darli per scontati al maschile è uno sforzo necessario, richiesto oggi più di ieri. Non farlo è una resistenza culturale che va combattuta come più volte ha detto la presidente della Camera Laura Boldrini secondo la quale "Il rispetto passa anche dalle restituzione del genere" . Su questo ha fatto una battaglia istituzionale inviando una lettera due anni fa a tutti a tutti i deputati per invitarli a rispettare la parità di genere linguistica quando parlano di deputate e ministre donne, evitando di riferirsi a loro con titoli maschili. In Italia si fa ancora fatica ad accettare termini come “Sindaca”, termine che a sua volta ha trovato posto sui giornali, nella sua versione “maschile”, in titoli come “Il sindaco di Cosenza: aspetto un figlio! Il segretario Ds: Il padre sono io”. Quando la realtà si fa strada, solitamente anche la lingua (lentamente) si adegua. Ed ecco che appare addirittura un breviario sull’uso corretto di termini quali “Ministro/Ministra”, “Sindaco/Sindaca”. E se alcuni termini come “architetto, ingegnere, deputato” restano ancora strettamente legati al genere grammaticale maschile, l’organo ufficiale della lingua italiana, l’accademia della Crusca, consiglia di aggiornarsi.

Cosa accade altrove?  Da Babbel, la app per parlare le lingue, arriva un'analisi sull'evoluzione di alcuni termini quando una donna è arrivata a ricoprire una carica molto alta attraverso le notizie dei media in alcuni paesi.

Francia
In Francia è molto difficile perpetrare cambiamenti di questo genere. È infatti l'Académie française, l’organo principale della “salvaguardia della lingua” che, diversamente dal suo parallelo in Italia, vi si oppone ufficialmente. Per rendere quindi il termine “Ministra” si aggiungerà “Madame” a “il ministro,” creando un ibrido curioso come “Madame le ministre” (signora il ministro).
Il dibattito però esiste e sempre più spesso il termine “Madame la Ministre” (signora “la” ministra) viene usato anche in occasioni ufficiali a dimostrazione che quando la realtà cambia anche la terminologia si adatta.

Germania
La lingua tedesca aggiunge in generale un suffisso al termine maschile, normalmente -in. Ad esempio avvocato sarà “Anwalt” per il maschile e “Anwältin” per il femminile. Per titoli accademici però resta ancora il termine maschile preceduto da un “Frau” (signora). Il titolo accademico di “Dottore di ricerca” sarà quindi “Frau Doktor” e non “Doktorin”.
Quando Angela Merkel è diventata Cancelliera anche i giornali non erano più tanto sicuri: dovevano chiamarla “Frau Bundeskanzler” o “Frau Bundeskanzlerin? In fondo era la prima volta che succedeva. Da subito Angel Merkel ha chiarito qualsiasi dubbio: lei era la “Frau Bundeskanzlerin” (Cancelliera). Una curiosità: anche nella conservatrice Francia si sono adattati col tempo all’uso della traduzione letterale “Madame la Chancelière”. Il problema? Il termine “la Chancelière” non aveva in francese questa accezione, ma significava la moglie del cancelliere o… uno scaldapiedi. Cambia la società, cambia l’uso delle parole.

Polonia
Il femminile delle professioni si forma normalmente aggiungendo il suffisso -ka alla forma maschile: “nauczyciel - nauczycielka” (maestro - maestra). Il problema diventa visibile quando si scopre che lo stesso suffisso è usato anche per la forma diminutiva: kawa - kawka (caffè - caffettino). E così fa notizia quando una donna in politica come Joanna Mucha, ministro polacco dello Sport e del Turismo dal 2011 al 2012, decide di non usare il termine convenzionalmente accettato di pani minister ( “signora ministro”) ma la versione femminile “ministra” (ricalcata dal latino) snobbando anche il possibile neologismo ministerka (sebbene inesistente tanto quanto ministra), per non incorrere nel diminutivo.

Brasile
La maggioranza dei prefissi in portoghese presenza una distinzione tra maschile e femminile. Alcuni termini si riferiscono però ad entrambi i generi, ad esempio parole che terminano in “ente”, “ante”, “inte” e “ista”.
Alcune professioni che storicamente non avevano un parallelo al femminile non hanno tuttora un suffisso femminile. Il termine “presidente” però, come da regola, non avrebbe bisogno di un termine extra, dato che esiste ed è corretto il termine “a presidente”. Esiste anche una corrente che accetta la versione “a presidenta” e il fatto che l’ex presidentessa del Brasile Dilma Roussef abbia deciso di scegliere quest’ultima acquista una connotazione politica che non è sfuggita ai media.

 

 

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