di Redazione ANSA

Il Museo di Vittorio Veneto, l'ultima battaglia della Grande Guerra

Era la sede municipale del Comune di Ceneda, prima che questo si fondesse con Serravalle per diventare Vittorio Veneto. Poi, nel 1938, è stato eletto a luogo in cui ospitare la prima raccolta sistematica di documenti e cimeli della Grande Guerra e, nel 2014, dopo un'operazione di restauro durata quattro anni, il palazzo cinquecentesco che domina piazza Giovanni Paolo I, fatto erigere dal vescovo di Ceneda Giovanni Grimani nella prima metà del Cinquecento su probabile disegno di Sansovino, è diventato il più grande Museo dedicato alla Prima Guerra mondiale nel Trevigiano. Collocato in un punto-chiave nella conclusione del conflitto e cioè la battaglia finale fra le forze italiane e quelle dell'Impero Austro-Ungarico, a Vittorio Veneto, fra il 24 ottobre ed il 4 novembre 1918, il sito espositivo prende da questo il nome di "Museo della Battaglia".

I nuovi spazi

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Con la riapertura, gli spazi e le modalità di fruizione sono stati riorganizzati con il preciso obiettivo di abbandonare la vecchia impostazione della retorica vittoriosa ereditata dal secolo scorso.
Per la riqualificazione della struttura, il Comune di Vittorio Veneto ha investito circa 1 milione di euro, cifra che si è sommata agli 1,8 milioni del Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr) transitati tramite la Regione Veneto.


Con i fondi Ue restaurati anche gli affreschi

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Per cogliere i finanziamenti europei, nel 2010, fu necessario organizzare una rete museale dedicata alla Grande Guerra, prima inesistente. Superato il requisito, i lavori furono avviati nell'ottobre del 2012, includendo anche il restauro di affreschi ottocenteschi ed altri, esterni, risalenti al Cinquecento e firmati da Pomponio Amalteo, che nel tempo avevano perso leggibilità e brillantezza.

 

UN PERCORSO EMOZIONALE ANCHE PER GLI EX NEMICI


La vita in trincea

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La parte squisitamente espositiva del Museo è stata quindi articolata in tre diverse sezioni ospitate in ciascuno dei tre livelli aperti al pubblico.
Al piano terra il percorso propone il tema della “vita in trincea”, raccogliendo oggetti, scritti e immagini che forniscono un suggestivo e realistico resoconto di come i soldati trascorressero le ore al fronte nei lunghi momenti fra le diverse fasi dei combattimenti. Perciò si tratta di strumenti per l'igiene e la cura personale, testimonianze sull'alimentazione, semplici passatempi per vincere la noia nelle ore libere.

 


Salendo al piano successivo, la visuale della guerra si sposta nel contesto cittadino civile. I reperti visivi restituiscono l'esperienza del conflitto dalla parte di chi fosse rimasto a casa, dunque le famiglie dei soldati spesso residenti in aree occupate dagli eserciti avversari.


Lettere e fucili

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Le collezioni raccolgono oggetti di uso quotidiano, lettere giunte dal fronte, elementi di varia natura che suggeriscono tante minime storie di tutti i giorni attraverso le quali è possibile intuire la gamma degli stati d'animo della comunità locale.

 

 

Sempre al primo piano è ospitata l' “Armeria di casa Marson”, una selezione di armi in uso a entrambe le parti provenienti dalla collezione privata di Luigi Mason, cittadino vittoriese che volle consegnare la sua straordinaria raccolta al Museo. Si tratta di una quarantina di fucili riferibili agli austro-ungarici, agli italiani ed anche a forze di molte altre nazioni che parteciparono alla guerra, tutti completi e spesso comprensivi di baionette.

In altre vetrine fanno mostra di sè quasi 90 pistole, anch'esse tutti pezzi unici e utilizzate dalle opposte parti belligeranti. Quindi proiettili, bombe a mano e d'aereo, munizioni di ogni tipo e due mitragliatrici, una italiana Fiat Revelli e una micidiale austro ungarica Schwarzlose Maschinengewehr.

Il Mito è infine il filo conduttore dell'esposizione al secondo piano, intendendo con ciò lo spirito che animò la nascita del Museo, in piena epoca fascista, e dunque connotato da una grande componente ideologica. Reperti come manifesti, fotografie, proclami e bollettini, cioè, che alimentano la dimensione eroica della Grande Guerra con tutte le rivendicazioni nazionali non appagate e sulle quali il regime coltivò il consenso dei primi anni.


Il Facebook ante litteram dei soldati americani

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C'è poi una sezione straordinaria, inaugurata nell'autunno di due anni fa, dedicata ai militari americani che si affiancarono all'esercito italiano nell'ultima fase della Grande Guerra.
Si chiama "Faces in the book", con evidente assonanza con la piattaforma Facebook, e contiene le fotografie con le generalità dei circa 250 militari giunti dagli Usa ed appartenenti alla compagnia "K" del 332/o reggimento.
Si tratta di forze trasferite nel 1918 dalla Francia all'Italia proprio per sostenere il colpo di reni finale e, pure in questo caso, ricostruite con grande esattezza grazie al lavoro di collezionisti. La rassegna fotografica è consultabile anche on line qui e ripropone il contenuto di un libro pubblicato negli Usa nel 1930.