Un muro contro il quale si scontra
una comunità in cerca di un Dio che non sa dove trovare, il
simbolo di tutte le barriere che continuano a dividere popoli e
nazioni, l' ostacolo all' unità che alla fine cade in macerie
lasciando intravedere un barlume di speranza. Tocca temi di
fortissima attualità Mass, la ''messa a teatro'' di Leonard
Bernstein che Damiano Michieletto porta per la prima volta in
Italia in forma scenica il 1 luglio alle Terme di Caracalla per
l'Opera di Roma. Il regista veneziano debutta nella sede
storica della stagione estiva della Fondazione musicale
capitolina dopo il 'trasloco' nel 2020 al Circo Massimo dovuto
al Covid in cui ha firmato lo straordinario e innovativo
allestimento di Rigoletto come un film dal vivo.
Sarà una prima volta con l'Opera di Roma anche per il maestro
venezuelano Diego Matheuz, sul podio per dirigere la partitura
complessa che impegna l' orchestra, il coro e le voci bianche, e
il corpo di ballo. Bernstein stesso definì la composizione che
gli era stata commissionata dalla vedova del Presidente Kennedy
"un pezzo teatrale per cantanti, musicisti e ballerini".
L'autore di West Side Story fu massacrato dalla critica dopo la
rappresentazione a Washington nel 1971 e reagì talmente male che
smise per tre anni di comporre dedicandosi esclusivamente alla
direzione. "Chi se ne frega delle stroncature - ha osservato
Michieletto -. Molti titoli di opere celebri come il Barbiere di
Siviglia e Carmen al debutto furono un disastro. Siamo in buona
compagnia. La nostra è una sfida mai fatta in Italia per
proporre al pubblico un repertorio diverso". Mass ha tante cose
dentro, ha spiegato il regista. "Nasce con uno spunto ecumenico
e anche il mio modo di lavorare lo è. Il segreto della riuscita
di uno spettacolo è fare in modo che il team possa esprimere al
meglio la qualità, quel qualcosa che fa la differenza, alzando
sempre l' asticella. Sono una spugna che ruba idee a tutti, ma
lascio libero chi lavora con me".
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