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Tadeusz Borowski, Il mondo di pietra

Tadeusz Borowski, Il mondo di pietra

Esce con Lindau inedito su umanità senza più speranza né anima

ROMA, 26 gennaio 2022, 10:38

Redazione ANSA

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

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(di Marzia Apice) TADEUSZ BOROWSKI, IL MONDO DI PIETRA (Edizioni Lindau, Torino 2022, pagine 112, euro 14,00, epub euro 9,99 - traduzione dal polacco di Roberto Polce). A gelare il sangue non sono tanto i racconti su ciò che di umanamente inconcepibile l'uomo è stato in grado di infliggere a un altro uomo durante il Nazismo, quanto l'andatura placidamente oggettiva di una scrittura lucida e desolata, priva anche del più piccolo barlume di speranza: è un testo utile a capire, non solo a ricordare, "Il mondo di pietra", struggente inedito di Tadeusz Borowski, in libreria con Lindau il 27 gennaio per il Giorno della Memoria. La forma scelta dall'autore è quella del racconto breve: nel libro ce ne sono 20, tutti slegati e indipendenti, con al centro il racconto dell'orrore a cui può giungere un essere umano che ha dimenticato la pietà.
    Prigioniero numero 119198 ad Auschwitz, vittima di sperimentazioni disumane, deportato poi a Dachau, Borowski descrive il funzionamento quotidiano e i meccanismi dei lager attraverso piccoli aneddoti, offrendo in queste pagine una testimonianza potente che, pur nell'approccio distante, quasi disinteressato, trasuda vita, o meglio il desiderio ardente di un'esistenza non più recuperabile. E' un inferno quello che appare davanti al lettore, un mondo folle e capovolto in cui però non ci sono buoni o cattivi, ma solo crudeltà ed egoismo che uniscono inevitabilmente tutti gli uomini, senza distinzioni. Per Borowski infatti non conta molto sottolineare quanto male è stato fatto nei campi di concentramento: inutile soffermarsi sulle condizioni spaventose in cui i prigionieri erano costretti a vivere, le violenze arbitrarie e gratuite, la fame, le camere a gas, il sadismo dei gerarchi. Con la sua voce - un "urlo" dimesso e dignitoso, ma affilato come una lama - l'autore racconta con una pacatezza e un'onestà che mettono i brividi la degradazione, l'abbrutimento, la disumanizzazione anche di chi era stato deportato in quell'orrore. Persone comuni, catapultate nella follia tragica dei lager, e poi diventate disumane, in modo irrecuperabile, capaci di esercitare violenza anche sugli altri prigionieri, compagni in quella stessa sorte infausta. Non solo aguzzini contro prigionieri, quindi, ma anche vittime contro vittime. In questa raccolta (che in origine avrebbe dovuto intitolarsi Wielkie zmęczenie, "La grande stanchezza"), uno degli esempi più duri nell'ambito della letteratura concentrazionaria, Borowski offre dunque un'opportunità ulteriore di riflessione, quella sul cinismo e sull'egoismo che prevalgono nell'animo dell'uomo in lotta per la sopravvivenza: il lettore troverà proprio la "banalità del male" che Hannah Arendt intuì seguendo il processo al gerarca nazista Adolf Eichmann. Per lo scrittore, morto suicida nel 1951 a 29 anni, nessuna speranza può essere più salvata: non esiste via d'uscita, né rimedio per riparare a ciò che è stato fatto.
    Auschwitz non è un infelice incidente di percorso nella storia dell'umanità, Auschwitz è la quintessenza dell'umanità. Non un'eccezione, ma la regola: è un mondo appunto "di pietra", immutabile, sì, ma soprattutto senza più anima.
   

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