Centosettanta lettere scritte alla
moglie Armanda, a Genova, durante otto mesi dell'internamento al
Campo di Fossoli, nel modenese, prima di essere deportato in un
lager del Reich, dove troverà la morte: documenti che
testimoniano non solo il dramma di un uomo, il pediatra italiano
di origini ebraiche Bruno De Benedetti, ma anche le condizioni
degli internati nel Campo nel suo periodo più terribile, in cui
le Ss naziste presero il controllo della struttura. Ora il
carteggio è stato depositato alla Fondazione Fossoli da Lucia
Amelotti, che lo ha custodito in questi anni; il materiale sarà
digitalizzato, analizzato e messo a disposizione degli studiosi.
Il medico genovese varcò i cancelli di Fossoli il 7 dicembre
1943, dopo essere stato arrestato alcuni giorni prima a
Mendrisio, mentre tentava, come molti altri ebrei, di superare
clandestinamente il confine svizzero, per raggiungere la
famiglia che era riuscita a fuggire appena 24 ore prima. Negli
otto mesi di internamento a Fossoli, Bruno De Benedetti, uno tra
i cinquemila prigionieri, 2.844 dei quali di origine ebraica,
scrisse con assiduità alla moglie Armanda, cattolica. Partì da
Fossoli con l'ultimo convoglio, il 31 luglio 1944, per non
tornare mai più.
La consegna del carteggio è stata anche l'occasione, per la
Fondazione, di lanciare 'Salva una storia', una campagna di
raccolta di testimonianze diverse, attivata in concomitanza con
l'apertura dei cantieri di restauro conservativo e di
riqualificazione del Campo di Fossoli. L'iniziativa si rivolge a
chiunque voglia donare lettere, fotografie, diari, oggetti -
riguardanti il Campo di Fossoli ma non solo, legati alla guerra,
al dopoguerra e alla ricostruzione - con l'intento di salvarli
dall'oblio, dalla dispersione, per farne un patrimonio comune, a
disposizione di storici, ricercatori, divulgatori e studenti.
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