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22 luglio, 12:27 Photostory Primopiano

REPORTAGE: L'incubo di Utoya, isola di morti

Un'ora e mezza di fuoco a sangue freddo, 85 morti, poi la resa

© ANSA/EPA
L'incubo di Utoya, isola di morti © Ansa

Dell'inviato Marco Galdi

L'isolotto di Utoya ha la forma di un cuore verde. Dodici ettari di abeti e betulle con tre radure al centro. Un paradiso piantato ad appena 500 metri dalla riva del lago Tyrifjorden, ad una quarantina di chilometri da Oslo. Dal 1950 e' stato regalato al movimento dei Giovani laburisti (Auf), che vi tengono il campeggio per i ragazzi dai 13 ai 30 anni, per coltivare l'utopia della prassi di tolleranza e liberta'. Da quei campeggi e' uscita l'intera classe politica dello Arbeiderpartiet degli ultimi 60 anni, l'attuale premier Jens Stoltenberg non ha mancato un appuntamento dal 1974. Anders Behring Breivik, il fanatico estremista di destra che ha sconvolto la Norvegia, in un'ora e mezza di lucida follia ha trasformato Utoya in un inferno disseminato di cadaveri. Ventiquattr'ore dopo i sopravvissuti hanno l'incubo negli occhi. Erano oltre 650 i ragazzi che da martedi' scorso si erano radunati sull'isola, raggiungibile solo in barca.

Tende e schitarrate, musica e discorsi politici. Ieri avevano ascoltato il discorso dell'ex premier Gro Harlem Brundtland, poi era arrivata la notizia dell'esplosione di Oslo. ''Pensavamo di essere al sicuro, proprio perche' eravamo su un'isola - racconta la teenager Prableen Kaur - Invece e' diventata una trappola. Breivik e' arrivato intorno alle 17 vestito da poliziotto. Con infame lucidita' ha chiamato a raccolta i primi che ha incontrato. 'Venite, venite, non abbiate paura, sono della polizia'. Invece ha cominciato a sparare per uccidere a sangue freddo. Ha continuato per 90 interminabili minuti. Una caccia all'uomo continuata fino all'arrivo dei reparti della polizia antiterrorismo. Poi la resa e l'arresto. Ne' suicidio, ne' folle ultimo conflitto a fuoco. Ha lasciato cadere le armi: una pistola Glock, una mitraglietta, un fucile.

E si e' consegnato alla garantista giustizia norvegese. La polizia ha trovato finora 85 cadaveri, ma a 24 ore dal massacro continuano le ricerche in acqua. Chi e' sopravvissuto ha un film dell'orrore nel cuore. ''Diceva che non c'era da avere paura ma poi sparava'' ricorda Silje, 16 anni, arrivata da Trondheim, al suo primo campus dell'Auf. E' abbracciata al fidanzatino Jan Ove, 17, fuori dall'albergo Sundvolden - ad una decina di chilometri a nord lungo la E16 - trasformato in centro di soccorso. ''Dopo i primi colpi sono scappata verso la mensa. Mi sono rannicchiata sotto una finestra. L'ho visto passare a due metri. Si fosse girato, sarei morta. L'ho visto entrare. Io sono corsa fuori. Diceva che non bisognava avere paura. Sparava a quelli che gli credevano. Io ho pensato solo a correre e a scappare. Mi sono gettata in acqua e nascosta dietro un masso. Pioveva, pioveva, pioveva. L'acqua era gelida. Avevo paura, e sentivo i colpi. E il tempo non passava mai. E io pensavo solo a restare nascosta''. A

decine hanno cercato di scappare a nuoto o di nascondersi nel bosco. Breivik li inseguiva, li stanava, spietato. Quando tutto e' finito, una catena di solidarieta' ha portato con le barche i sopravvissuti sulla terraferma. ''Decine i corpi sulla spiaggia'' ricorda Silje. Quei cadaveri sono stati la salvezza di Prableen: ''Ho fatto finta di essere morta. Mi sono nascosta sotto i corpi. Lui e' venuto vicino. Sparava a tutti per essere sicuro di averli uccisi. Quando e' arrivato, ho pregato. E' passato oltre''. Ed Eline, italo-norvegese di 17 anni, e' viva per miracolo. Era abbracciata all'amica del cuore e Breivik gliel'ha fulminata con un colpo in pieno petto. Eline e' viva ma non riesce piu' a parlare. ''E' come fosse tornata da un campo di battaglia'' dice la mamma, Christin. Ora la Norvegia piange i suoi morti e cura i sopravvissuti. Tutti i Comuni sono mobilitati per fornire sostegno psicologico ''finche' ce ne sara' bisogno''.

Davanti al Sundvolden sfilano i pullman che portano i reduci di Utoya a casa. Il re Harald e la moglie sono andati a trovarli. Miriam Einareshaug, 17 anni, capelli neri con meches rosse, e' stata abbracciata dalla regina Sonja: ''Non sono solo passati, sono stati con noi''. Un segno di solidarieta' di un Paese in lutto, che non vuole rinunciare al suo sogno. Ma nulla potra' cancellare l'incubo di Miriam: ''Mentre me ne andavo, tanti cellulari squillavano. Squillavano e nessuno rispondeva. Erano tutti morti''.

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