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Demenza senile per 1 milione, da psichiatri buone pratiche

Numero malati arriverà a 63 milioni nel mondo nel 2030

Redazione ANSA ROMA

 In Italia gli over 65 sono 13,8 milioni. Circa 2,2 milioni coloro che hanno più di 85 anni e vi è il record europeo, insieme alla Francia, per il numero di ultracentenari in vita, oltre 14 mila. Con una popolazione anziana che aumenta vi è anche la necessità del trattamento mirato della salute fisica e mentale: sono oltre un milione le persone con demenza senile, circa 3 milioni i caregiver. Rete, paziente, famiglia, integrazione sono le 4 parole chiave per la creazione di servizi e buone pratiche che mirano alla massima capacità di autogestione. Se ne discute a Firenze, al congresso nazionale della Società italiana di psichiatria (Sip).
    In una "rete di psicogeriatria", per gli psichiatri i Dipartimenti di Salute Mentale (Dsm) si devono integrare col medico di medicina generale e gli altri servizi. Un'integrazione prevista dal Piano Sanitario Demenze del 2015 e declinata però in vario modo in Italia. "Le demenze - spiega Salvatore Varia, vicepresidente Sip - sono un problema rilevante: quasi l'11% degli over 65 e circa il 21% degli over 80 che risiedono al domicilio manifestano un grado variabile di deterioramento delle funzioni cognitive. Sulla base delle proiezioni, nel mondo il numero di persone con demenza senile aumenterà dai 25,5 milioni del 2000 a 63 milioni nel 2030, fino a 114 milioni nel 2050". "Appare logico pensare - aggiunge Enrico Zanalda, presidente Sip - che all'Italia spetti il difficile compito di paese leader alla ricerca di un sistema che garantisca la migliore assistenza possibile. Le demenze senili rappresentano una delle principali sfide per i sistemi sociali e sanitari dell'Occidente". Per Zanalda, "le conoscenze propendono verso l'evidenza che la depressione con disturbi delle funzioni cognitive possa costituire un quadro prodromico delle demenze. Un'altra possibilità è che la depressione possa costituire un fattore di rischio per la demenza. Da qui la necessità di riconoscerla anche in età avanzata e migliorarne il trattamento". (ANSA).
   

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