Finora sono sette come i vizi capitali. Ma l'elenco potrebbe presto allungarsi. E di certo sono di più i peccati di cui sono accusate e per i quali Bruxelles è pronta a usare il suo nuovo Digital Markets Act per sorvegliarle ed eventualmente punirle. Le major del tech mondiale, a partire dalle Big a stelle e strisce per arrivare alla madre cinese di TikTok, per l'Ue sono ora a tutti gli effetti "guardiane del mercato", capaci di un monopolio ai danni di start-up e consumatori che tra i confini continentali non sarà più accettato. Una stretta attesa sin dal settembre scorso, quando il Dma si è fatto realtà. E annunciata nello stesso giorno in cui l'asticella in Europa si è alzata anche sul fronte della privacy, con la Commissione europea decisa a potenziare il suo regolamento di punta (il Gdpr) a favore della cooperazione sui casi transfrontalieri, e la Corte di giustizia Ue che la spalleggia con una sentenza avversa a Meta.
Più breve del lungo elenco delle 19 major già finite lo scorso aprile nelle grinfie del pacchetto gemello Digital Services Act (Dsa) - dedicato alla gestione dei contenuti e alla trasparenza -, la lista dei giganti che dovranno rigare dritto anche nel campo della concorrenza conta - per il momento - le cinque sorelle del web americane Google, Apple, Meta, Amazon e Microsoft, la pechinese Bytedance, e la sudcoreana Samsung. Quattro i tratti comuni che le contraddistinguono: un fatturato annuo in Europa di almeno 7,5 miliardi di euro negli ultimi tre esercizi, operazioni in almeno tre Paesi membri, almeno 45 milioni di utenti finali al mese negli ultimi tre anni, e più di 10mila utenti commerciali attivi ogni anno. Sono state direttamente loro a notificare a Bruxelles di poter essere classificate come 'gatekeeper' di mercato. Osservando così il primo precetto procedurale previsto nel Dma in segno di collaborazione.
Ora però inizia il difficile. Seguendo lo stesso canovaccio del Digital Services Act - il cui giro di vite sulle major si applicherà dal 25 agosto -, le società saranno messe sotto torchio da Bruxelles su tutte le pratiche dello spettro antitrust. E a snocciolarle, a futura memoria, è stato lo stesso commissario Ue responsabile, il francese Thierry Breton, ormai da settimane in missione tra America ed Asia anche per restituire il chiaro messaggio che "l'Europa sta riorganizzando completamente il suo spazio digitale" per tutelare i suoi cittadini e le sue aziende. Una volta che, entro il 6 settembre, la lista sarà completa - con altre società come Booking che potrebbero presto essere aggiunte -, le big avranno allora fino a marzo 2024 per adeguarsi ai precetti. Tra i quali le massime di non imporre vie preferenziali ai loro sistemi, prodotti e servizi - ad esempio pre-installando le proprie app sui dispositivi, bloccando gli utenti all'interno dei propri ecosistemi o obbligandoli a usare uno store virtuale predefinito -, aprire il ventaglio delle scelte per i consumatori, e non ostacolare la crescita delle rivali più piccole con operazioni di mercato sleali. E chi non seguirà i dettami rischierà, come scolpito nel Dma, multe fino al 10% del giro d'affari annuo globale, rincarate al 20% per le recidive, o di incappare nel divieto di operare sul suolo europeo.
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