Varare un disciplinare di produzione su base volontaria che valorizzi la canapa made in Italy, "oro verde" dell'agricoltura e soprattutto regoli il nuovo fenomeno della commercializzazione delle infiorescenze, la parte più pregiata della pianta.
E' l'appello-impegno lanciato dalla Cia-Agricoltori Italiani alla filiera agroindustriale e alle istituzioni, in un incontro organizzato all'indomani della pubblicazione della circolare del Ministero delle Politiche agricole che chiarisce per la canapa le modalità di coltivazione e regole del florovivaismo. Un provvedimento che fa seguito alla legge 242 del 2016 che permette la coltivazione e la commercializzazione per gli agricoltori di varietà di canapa con un limite di THC (la molecola psicoattiva) al di sotto dello 0,2%, ridando slancio alla filiera.
Peccato pero, osserva la Cia, che mancano ancora i decreti attuativi che regolano non solo il THC per foglie e fiori da destinare all'alimentare, ma anche le norme per la commercializzazione delle infiorescenze permesse ora solo ad uso tecnico o da collezione. Intanto le superfici coltivate a canapa crescono: per il 2018 si stimano oltre 4 mila ettari seminati, considerando che negli ultimi tre anni sono aumentati del 200%, passati da 950 a 3 mila ettari. La canapa rappresenta un'occasione unica per i territori, spiegano gli esperti Cia, contribuisce a ridurre il consumo di suolo, diserbare i terreni e bonificarli dai metalli; vanta poi un alto valore aggiunto per impieghi nei campi alimentare, cosmetica, tessile, verde ornamentale, bioedilizia e bioplastiche. Si tratta però di una riscoperta, visto che fino agli anni '50 l'Italia era il secondo produttore mondiale di canapa dopo l'Unione Sovietica, con 100 mila ettari seminati per 1 milione di quintali prodotti. Poi l'abbandono, con lo sviluppo delle fibre sintetiche, ma soprattutto come conseguenza della campagna mondiale contro una produzione considerata solo per le sostanze stupefacenti.
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