L' anta scorrevole di un mobile che
non ha profondità, la sagoma vintage di un altoparlante a
membrana su una parete proprio come se da un momento all' altro
dovesse diffondere suoni e parole, un parallelepipedo senza un
angolo che proprio nella sua parte mancante in evidenza ne
'racconta' il significato, i disegni in bianco e nero su
materiale industriale ispirati da immagini di giornale e annunci
pubblicitari. Richard Artschwager pescava nella vita quotidiana
gli spunti per descrivere la possibile doppia vita di oggetti
pronti a parlare la lingua dell' arte una volta
decontestualizzati dall' uso per il quale erano stati pensati.
Al segno lasciato dallo scultore e pittore americano morto a 90
anni nel 2013, la Galleria Gagosian dedica fino all' 11 marzo la
mostra che in quindici opere di una collezione privata si
concentra su un arco di tempo cruciale della sua carriera, dal
1964 al 1987, scandito dalla ricerca sulle possibilità offerte
dalla formica, allora materiale nuovo di grande appeal popolare
per banchi di scuola e mobili di ogni tipo, e dal celotex, un
impasto di fibre utilizzato nelle costruzioni come isolante.
''La forma inizia sempre con un qualcosa - spiegò Artschswager
-. E poi, se quel qualcosa si manifesta in un altro luogo, vi è
uno scarto e il risultato che si crea sviluppa un'esistenza
parallela rispetto all'originale''.
Pop, minimalista, concettuale, abile nell' evocare dal pezzo
unico il prodotto industriale, Artschwager ha attraversato la
seconda metà del Novecento e oltre evitando la gabbia dei
generi, con una produzione limitata che gli ha aperto le porte
dei luoghi dell' arte più prestigiosi, dal Moma e dal Whitney
Museum di New York alla Tate Gallery di Londra al parigino
Centre Pompidou, e in molte altre importanti collezioni
internazionali. In Italia a dedicargli una grande retrospettiva
curata da Germano Celant è stato nel 2019 il Mart di Rovereto.
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