Stavano sperimentando un'esperienza estrema, a metà tra la vita dei monaci delle origini e il campeggio libero, sei stranieri, tre donne e tre uomini, scovati ieri dalla polizia nei dintorni di Rishikesh, la città sacra sul Gange, resa famosa dai Beatles, che vi soggiornarono nel 1968. I sei, due ucraini, due turchi, uno statunitense, e un nepalese, tutti poco più che ventenni, vivevano in una grotta, lungo la riva del fiume, dal 24 di marzo. Vi si erano trasferiti con i loro averi, qualche zaino e qualche sacco a pelo: per lavarsi, grazie alle temperature estive, si buttavano nel fiume, per cucinare facevano fuochi con legna raccolta nei boschi, per non stare al buio la sera accendevano piccole lampade votive, quelle usate nei templi indiani. I sei erano arrivati in India separatamente, vari mesi prima, e, dopo percorsi diversi, si erano incontrati in un ostello a Rishikesh, qualche giorno prima del lockdown e del blocco di tutti i mezzi di trasporto, che, proclamati all'improvviso, li ha "imprigionati" nella città.
Ormai a corto di denaro, non più in grado di pagare il costo delle stanze, rifiutati da numerosi ashram della città, (i monasteri-scuola), ai quali avevano chiesto ospitalità, i sei hanno deciso di creare una piccola comunità e di condividere i fondi rimasti per acquistare almeno il cibo necessario alla sopravvivenza. La Polizia, che li ha trovati e riportati in città, li ha descritti ai media come abbastanza emaciati, i ragazzi coi capelli e le barbe tanto incolte da farli assomigliare ai sadhu, i santoni indiani; ma sani, e preoccupati solo per i visti sul passaporto, ormai scaduti da tempo. Per i sei, si sono alla fine aperte le porte dello Swarg Ashram, noto centro di studio dello yoga e della meditazione, dove sono stati condotti dagli agenti; anche se sani, senza alcun sintomo del coronavirus, dovranno dire addio all'esperienza comunitaria: resteranno isolati, ciascuno in una stanza, in quarantena, per almeno quindici giorni.
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