Da singoli Paesi e organizzazioni internazionali in queste settimane stanno venendo appelli a cancellazioni del debito per Stati africani poveri al fine di consentire loro di meglio affrontare la pandemia di coronavirus nonostante il rischio di "moral hazard" - l'incentivo a indebitarsi di nuovo - che questo sgravio comporterebbe.
Già in una ministeriale panafricana svoltasi il 31 marzo, i responsabili delle Finanze avevano chiesto 'respiro' ai creditori e uno sgravio da 44 miliardi di dollari, come ha riferito la Commissione economica per l'Africa (Uneca). Su quella base, esenzioni debitorie erano state chieste quattro giorni dopo dai capi di Stato e di governo dei Paesi dell'Unione africana.
Del resto un altro organismo Onu, la Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (Unctad), in un rapporto pubblicato la settimana scorsa ha ricordato che le economie in via di sviluppo soffrono sotto il peso de debito da molti anni e andrebbero sgravate.
Appelli in questo senso sono venuti ad esempio dal presidente keniano Uhuru Kenyatta e da quello tanzaniano John Magufuli il quale, pur apprezzando uno strumento per accedere a prestiti allestito dalla Banca mondiale (Bm), ha sostenuto che una cancellazione avrebbe maggior senso economico perché eviterebbe indebitamenti ancor più onerosi in futuro.
Ma, come ha sottolineato il Financial Times, ci sono "critici" di una tale operazione: dal 1996, quando fu lanciata una grande campagna di cancellazione del debito da parte di Bm e Fondo monetario internazionale per quasi 40 Paesi per lo più in Africa, questi Stati si sono lanciati nell'ottenimento di nuovi debiti "e non tutto il denaro è stato ben speso".
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