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El Jeiroudi, dalla Siria a Berlino la mia vita da rifugiata

El Jeiroudi, dalla Siria a Berlino la mia vita da rifugiata

Fuori concorso il diario-documentario 'Republic of Silence'

VENEZIA, 07 settembre 2021, 12:56

Redazione ANSA

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Un film che inizia senza immagini, "perché non ci sono immagini per quello che ho visto". Anni '80, Baghdad, "compio 7 anni, mio padre mi regala una fotocamera.
    Questo è il mio punto di vista": comincia così il racconto di Diana El Jeiroudi, 44 anni, regista indipendente siriana, trasferita da anni a Berlino, co-fondatrice del festival del documentario in Siria, a Cannes 2014 prima siriana ad essere giurata (per il Documentary Film Award). A Venezia 78 porta il suo film e se stessa, "perché cinema e vita mai come in questo caso coincidono", dice all'ANSA.
    Republic of Silence è un'opera monumentale, oltre tre ore, qui Fuori concorso, cui ha lavorato per dodici anni. Si sentono parlare tante lingue, inglese, arabo, curdo, tedesco in un affresco epico del mondo intorno a lei, dei suoi ricordi, della condizione del suo paese, della sua vita quotidiana, delle sue amicizie, con momenti molto struggenti. Un film sull'essere 'rifugiati' e un documento sul conforto del cinema in una vita così. Un film terapeutico? "Tutto il cinema lo è, qui c'è la mia prospettiva. Essere rifugiati può sembrare persino un'etichetta, una scritta per completare il biglietto da visita, ti mette subito in relazione con gli altri".
    Republic of Silence è una sorta di diario, "ho scritto il film sui miei ricordi, sulla situazione che avevo intorno, sulla mia vita oggi, ma poi gli eventi cambiavano tutto". Quando i talebani poco meno di un mese fa hanno ripreso il potere in Afghanistan cosa ha pensato? "Ho provato una grande tristezza, l'uscita degli stranieri ha dato loro licenza di uccidere".
   
   

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