(di Manuela Tulli)
(ANSA) - KIEV, 10 MAG - Prima di partire per la prima linea i
soldati vanno dal vescovo e chiedono la sua benedizione. "E io
li benedico, è un mio diritto farlo, e tutta la comunità prega
per loro quando sono al fronte". A parlare è monsignor Vitalii
Kryvytskyi, arcivescovo latino della diocesi di Kiev-Zhytomyr,
200 mila cattolici suddivisi in 160 parrocchie, all'interno
della quale ci sono anche le città 'martiri' di Bucha, Irpin,
Borodjanka. Ha visto tanto dolore in questi due mesi e ha dovuto
anche imparare a guidare una Chiesa che, suo malgrado, deve
guardare con altri occhi alla guerra. "Non abbiamo scelto di
fare la guerra, ma siamo stati costretti. Difendere il proprio
Paese è una responsabilità civile, non solo militare, e tutti
siamo tenuti a farlo", dice in un'intervista all'ANSA.
Nel palazzo arcivescovile di Kiev, vicino a Maidan, la piazza
che è stata nel 2014 teatro delle mobilitazioni per la libertà,
ci accoglie nella sobria sala al piano superiore. Al piano terra
si celebra nel frattempo la Messa, con canti e preghiere, e il
cuore rivolto ai parrocchiani che sono partiti armati per il
Donbass.
"I giovani vengono da me e mi dicono: è il momento di andare
in prima linea. E io dico ai nostri fedeli: pregate perché
adesso cominciano" a combattere. "Viviamo una situazione che
due mesi fa potevamo leggere nei libri e quindi facevamo grandi
discussioni tra noi prelati sulla guerra, sulle armi. Non
c'erano invece discussioni tra i sacerdoti che erano nell'est e
che hanno visto tutta questa situazione, molto difficile, già
dal 2014. Oggi anche noi abbiamo cominciato a capire che cosa
significa benedire qualcuno che deve andare alla guerra per
servire il suo popolo".
Il pacifismo, anche quello cristiano, qui non è comprensibile
perché "dobbiamo ottenere la pace giusta", insiste il vescovo.
Ricorda il passo del Vangelo di Matteo in cui Gesù dice: "Tutti
quelli che mettono mano alla spada periranno di spada". "E se il
Venerdì Santo avete ascoltato bene il Passio - dice ancora
l'arcivescovo - c'erano i discepoli con le spade. E non
servivano per sbucciare le mele. Secondo voi come dobbiamo
altrimenti difenderci?".
Vescovo e parroci indicano però ai militari "una linea rossa"
da non oltrepassare: "Non devono torturare i russi, devono
seppellire i morti. Ogni soldato è al fronte per difendere il
Paese ma non per provare odio". "Ora dobbiamo rispondere con la
difesa, poi ci sarà una via di riconciliazione. Ma se adesso
l'esercito russo viene a prendere altri pezzettini di terra non
è tempo di discutere di questo". Commentando le voci che dalla
Chiesa cattolica, fuori dai confini ucraini, invocano pace e
riconciliazione, il vescovo replica: "Tu non puoi perdonare al
posto di un altro. Qui, purtroppo, quando parliamo di perdono
non è una discussione astratta. Sarà un percorso lungo e
difficile".
Poi parla del fatto che "la guerra ha aumentato la fede. Ci
sono nuove persone che si avvicinano alla Chiesa". I sacerdoti
sono tutti rimasti sul posto, anche quelli di Irpin e Bucha ed
hanno aiutato la gente anche nei giorni difficili
dell'occupazione russa. La situazione ha poi accorciato i tempi
per sposarsi in chiesa: ora lo possono fare anche senza la
preparazione di sei mesi che era stata chiesta prima della
guerra. Sospese invece nelle zone più a rischio sia le prime
comunioni che le cresime che normalmente si celebrano in queste
settimane sia per "ragioni di sicurezza" sia "per aspettare le
famiglie che sono andate via e vorranno tornare". (ANSA).