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Terapie

Terapie

08 luglio 2023, 14:01

Redazione ANSA

ANSACheck

Terapie - RIPRODUZIONE RISERVATA

Terapie - RIPRODUZIONE RISERVATA
Terapie - RIPRODUZIONE RISERVATA

 

TERAPIA INSULINICA

La somministrazione di insulina rimpiazza la carenza di ormone che è assoluta in caso di diabete tipo 1 e relativa in caso di diabete tipo 2.

La terapia insulinica può essere considerata come salva-vita nel soggetto con diabete tipo 1 che per nessun motivo deve sospenderla, neppure se non si alimenta. In questo caso la dose di insulina potrà essere eventualmente ridotta, ma mai deve esserci un periodo superiore a poche ore in cui un diabetico tipo 1 non riceva la sua iniezione di insulina

La terapia insulinica è talora indispensabile anche nel diabete tipo 2: A volte solo temporaneamente al momento della diagnosi o in caso di eventi intercorrenti (traumi, operazioni chirurgiche, malattie concomitanti), a volte in via definitiva. Ciò accade in genere quando la malattia dura da molti anni e le cellule che producono l’insulina sono molto ridotte. A volte la terapia insulinica è necessaria nel diabete tipo 2 perché i farmaci orali sono controindicati (ad esempio se c’è insufficienza renale) o non tollerati. L’insulina non ha mai controindicazioni ed è sempre ben tollerata. I casi di allergia all’insulina sono rarissimi.

L’insulina viene somministrata in maniera non fisiologica e non del tutto prevedibile. Normalmente le cellule del pancreas rilasciano insulina, secondo dopo secondo, in rapporto al variare della glicemia. L’insulina prodotta dal pancreas raggiunge il fegato dove almeno metà dell’ormone, dopo aver agito, viene distrutta. Quella che supera il fegato raggiunge tutti gli altri tessuti che ne ricevono molto meno che il fegato. Con la terapia insulinica l’ormone entra nel corpo dopo iniezione sottocutanea e questo fa sì che il fegato ne riceva meno di quanto dovrebbe e che gli altri tessuti ne ricevano in proporzione più di quanto dovrebbero. Inoltre, l’insulina viene assorbita in maniera differente da un iniezione all’altra e da una sede di iniezione all’altra (più rapidamente dall’addome, più lentamente dalla coscia o dal braccio). Infine, la dose somministrata tiene conto di una stima del fabbisogno e non di una certezza sullo stesso. Questo spiega perché si osservino spessissimo variazioni notevoli della glicemia da un giorno all’altro nello stesso orario nonostante la dose somministrata di insulina sia stata la stessa e l’alimentazione sia stata quasi identica. Questo spiega perché si verifichino le ipoglicemie, frequenti soprattutto quando si cerca di ottenere livelli glicemici vicini a quelli normali. Le ipoglicemie e anche gli eccessivi rialzi glicemici sono in parte il risultato di una stima approssimativa del fabbisogno insulinico in quel certo momento della giornata, oltre che di un assorbimento dell’insulina imprevisto (e imprevedibile).

Le insuline disponibili si distinguono, a seconda della velocità e della durata di azione, in:

• rapidissime (lispro, aspart, glulisina)
• rapide (umana regolare)
• intermedie (NPH)
• a lunga durata (glargine, detemir, lisproprotamina, degludec)

Sono disponibili anche miscele precostituite di insulina rapidissima e intermedia.

L’insulina intermedia (es. Protaphane o Humulin I), che è torbida, va agitata delicatamente prima dell’iniezione (una decina di volte). L’insulina a durata protratta (es. Lantus, Levemir, Humalog Basal, Tresiba) non va agitata.

L’ago della penna va cambiato, se non ad ogni iniezione, almeno una volta al giorno.

L’insulina rapida (es. Actrapid o Humulin R) e quella rapidissima (es. Humalog o Novorapid o Apidra) vanno iniettate nell’addome. Lo stesso dicasi per le insuline premiscelate (es. Humalog Mix, Novomix). Le insuline intermedie e a durata protratta vanno iniettate preferibilmente in cosce, glutei, braccia. Cambiare le zone di iniezione (es. a destra dell’ombelico, sotto, a sinistra, ecc.).

L’insulina rapida va iniettata circa 15 minuti prima del pasto e la rapidissima e le premiscelate immediatamente prima.

L’insulina esce lentamente dagli iniettori a penna. Quando si è fatta l’iniezione con una penna, non togliere subito l’ago dal sottocute ma farlo dopo avere contato rapidamente fino a 10.

Tenere di scorta almeno una penna oppure siringhe e flaconi di insulina nel caso in cui si rompa una penna.

Di seguito sono riportate alcune informazioni utili a chi si cura con insulina.

 

CONSERVAZIONE DELL'INSULINA

L'insulina (o la penna pre- riempita) in uso: non va conservata in frigorifero ma a temperatura ambiente e può essere usata in sicurezza per circa 1 mese dal primo utilizzo. Inoltre deve essere protetta da temperature estreme, da eccessivi sbalzi di temperatura e da luce solare.
L'insulina non in uso: va conservata in frigorifero (2\8 °C), mai nel congelatore ed va estratta almeno 30 minuti prima dell'iniezione e portata a temperatura ambiente tenendola nel palmo della mano per qualche minuto.
è importante tenere di scorta almeno una penna (o una siringa e un flacone di insulina) nel caso in cui si rompa la penna.

 

SEDI DI INIEZIONE

L’iniezione di insulina deve essere sottocutanea. Per garantire un assorbimento corretto di insulina, le iniezioni devono essere eseguite nel tessuto sottocutaneo e non nel muscolo o nel derma.
Le sedi più appropriate per una corretta iniezione di insulina sono 4:

1. Addome: assorbimento veloce (sede indicata per l'iniezione di insulina rapida, rapidissima e premiscelate;
2. Braccia: assorbimento medio/veloce (sede indicate per l'iniezione di insuline intermedie e a durata protratta)
3. Cosce: medio (sede indicate per l'iniezione di insuline intermedie e a durata protratta)
4. Glutei: lento (sede indicate per l'iniezione di insuline intermedie e a durata protratta)

 

ROTAZIONE DEI SITI DI INIEZIONE

Praticare iniezioni ripetutamente nello stesso punto all’interno del sito può far sorgere problemi: gonfiori, depressioni cutanee o arrossamenti, ematomi fino alla formazione delle gravi lipodistrofie. Pertanto, è importante controllare sempre i siti di iniezione prima di somministrare l'insulina.

È consigliabile:

Ruotare i siti (addome, gambe, glutei, braccia)
Ruotare i lati (destra e sinistra)
Ruotare all’interno dei siti (spostandosi di circa 1 cm dal punto della precedente iniezione per evitare ripetuti traumi del tessuto)
Uno schema che ha dato prova di efficacia prevede la divisione dei siti di iniezione in quadranti (o a metà quando si usano le cosce o e i glutei) iniettando in un quadrante alla settimana e spostandosi poi in senso orario.

 

TECNICHE DI INIEZIONE

Le tecniche di iniezione sono diverse in base alla lunghezza dell'ago:
-fino a 5 mm l'ago va posizionato a 90 gradi rispetto alla sede di iniezione
-oltre i 5 mm l'ago va posizionato a 45 gradi rispetto alla sede di iniezione o "utilizzando la tecnica del pizzicotto" facendo attenzione a sollevare solo la pelle e il tessuto sottocutanee, non includendo il muscolo e usando solo il pollice e l'indice/dito medio

COME INIETTARE L'INSULINA

Iniettare l'insulina con la penna

Qui di seguito sono riportate le istruzioni comuni a tutte le penne da insulina.
Avvicinare l’ago alla penna e avvitarlo alla cartuccia
Selezionare 2 unità. Tenere la penna con l’ago verso l’alto e premere il pulsante completamente fino a quando appare una goccia di insulina. Se non appare, selezionare nuovamente 2 unità. Solo dopo essersi accertati che l’ago è pieno, selezionare la dose da iniettare.
Selezionare la dose da iniettare
Inserire l’ago nella pelle seguendo la tecnica di iniezione raccomandata
Quando l’ago è inserito, premere completamente il pulsante
Importante: attendere 10 secondi prima di estrarre l’ago
Estrarre delicatamente l’ago
Ricordare di smaltire correttamente il materiale

La conta dei carboidrati

E’ un metodo che permette di adeguare la dose di insulina pronta da somministrare ad un pasto al contenuto di carboidrati di quel determinato pasto.

Rappresenta un sistema di pianificazione che richiede impegno ma permette flessibilità e libertà di scelta nell’alimentazione.

Per apprendere la conta dei carboidrati è necessario imparare a riconoscere quali cibi li contengono e soprattutto riuscire a conteggiarne il contenuto in grammi.

Di seguito sono riportati i gruppi di alimenti che contengono carboidrati:

- cereali e derivati: farina, pasta, riso, polenta, pane, crackers e affini
- legumi e patate
- frutta
- prodotti dolciari: torte, crostate, merendine, cioccolato, gelati, ecc.
- latte e yogurt
- bevande zuccherate
….ed altri che non ne contengono o che ne contengono quantità trascurabili:
- carne e pesce
- verdure (esclusi i legumi e le patate)
- uova
- formaggi
- acqua e bevande non zuccherate.
(per una maggior precisione vedere l’apposita tabella)

I carboidrati si distinguono sostanzialmente in 2 gruppi:

Carboidrati semplici, che vengono assorbiti rapidamente: zucchero, succo di frutta, bevande zuccherate, caramelle, miele.
Carboidrati complessi, il cui assorbimento è più lento: cereali e derivati, legumi e patate.

Questa distinzione è molto importante, soprattutto quando i carboidrati vengono assunti come trattamento dell’ipoglicemia (in questi casi sono da preferire quelli semplici!)

 

Per calcolare esattamente il contenuto dei carboidrati nei cibi bisogna avere a disposizione l’apposita tabella (disponibile al link: http://nut.entecra.it/646/tabelle_di_composizione_degli_alimenti.html), che fornisce il contenuto in CHO per 100 g di alimento.Se la porzione di alimento da consumare non corrisponde a 100 g sarà necessario applicare una proporzione.

Ad esempio se il pane comune ha 65g di carboidrati in 100g, e se ne assumono 50 g, applicando una proporzione si ricava il contenuto in grammi di carboidrati (X) della porzione:

X/50 = 65/100 ; X = (65x50)/100 ; X = 32.5 (che corrisponde ai grammi di carboidrati contenuti in 50g di pane).

Lo stesso vale per gli altri alimenti, ma per la pasta e i cereali come riso e farro è importante far presente che i contenuti di carboidrati riportati in tabella fanno riferimento al peso a crudo; quindi se vengono pesati dopo la cottura il valore va aggiustato (di solito la metà per la pasta e un terzo per il riso, l’orzo e la polenta).

All’inizio è necessario pesare tutti i cibi contenenti carboidrati, ma con il tempo e la pratica di solito si impara a stimare “ad occhio” il peso degli alimenti.

Consiglio: la tabella dei carboidrati a cui suggeriamo di fare riferimento è sostanzialmente corretta, ma è una semplificazione.

I cibi in commercio hanno un contenuto di carboidrati variabile, a seconda della lavorazione e della marca, pertanto quando possibile, è sempre meglio consultare l’etichetta del prodotto che viene consumato (tra l’altro molto spesso è anche comodo, perché fornisce il valore per porzione o per pezzo).

 

Il rapporto insulina/carboidrati

Il rapporto insulina/carboidrati (Rapp I/CHO o I/C) indica i grammi di carboidrati metabolizzati da 1 U di insulina, per un determinato soggetto.

Ciò permette di adeguare la dose insulinica all’introito glucidico di ogni singolo pasto.

Mediamente 1 U di insulina metabolizza circa 10-15 g di CHO, ma in età pediatrica il rapporto I/CHO è molto variabile, da bambino a bambino, a seconda di fattori come l’età, il peso, l’attività fisica praticata, ecc. Inoltre, per lo stesso bambino, il rapporto I/CHO si modifica con l’accrescimento e lo sviluppo puberale, come succede per la sensibilità insulinica, ma può essere diverso anche a seconda delle stagioni e degli orari della giornata. Pertanto, anche se vi sono regole matematiche per calcolarlo, in età evolutiva è molto più preciso stabilire il rapporto I/CHO analizzando un diario glicemico e alimentare compilato accuratamente per alcuni giorni. Tale diario deve riportare: orario dei pasti, alimenti contenenti CHO consumati e totale dei carboidrati in grammi, glicemie pre-prandiali e 2 ore dopo, dosi insuliniche somministrate. I rapporti I/CHO inoltre vanno ricalcolati periodicamente (almeno ogni 3 mesi) e modificati quando si osservano ipoglicemie o iperglicemie post-prandiali persistenti.

Come si decide la dose di un bolo prandiale?


Per decidere la dose insulinica prima del pasto vanno considerati 4 elementi:
1. Glicemia misurata
2. Carboidrati da consumare
3. Insulina residua attiva
4. Attività fisica

ESEMPIO:
Cena ore 20 con: bistecca, pane (70 g), insalata, banana (120 g), gelato (50 g).
Glicemia prima di cena: 230 mg/dl
Fattore di correzione: 40 mg/dl;
Rapporto I/CHO a cena: 1/16
Merenda ore 17: bolo di 6 U

1. Correzione della glicemia: 230 – 120 (obiettivo glicemico) = 110 mg/dl 110 ÷ 40 (fattore di correzione) = 2,75 U (insulina necessaria per la correzione)

2. Conteggio dei carboidrati: Bistecca e insalata non contengono CHO (non c’è neanche bisogno di pesarli) Pane: (70 x 65) ÷ 100 = 45,5 g di CHO
Banana: (120 x 20) ÷ 100 = 26 g di CHO
Gelato: (50 x 55) ÷ 100 = 27,5 g di CHO
Totale: 99 g di CHO
99 ÷ 16 (rapporto I/CHO a cena) = 6,18 U (insulina necessaria per i CHO)

3. Calcolo dell’insulina residua attiva: l’insulina ultrarapida dura circa 3 ore e, per semplicità, consideriamo che si consumi al ritmo di 1/3 della dose ogni ora. Se sono passate 2 ore dal bolo, significa che c’è ancora 1 ora di insulina che deve agire, cioè 1/3 della dose. In questo caso: 6 ÷ 3 = 2 U (insulina residua attiva) -> NB: è da sottrarre, non da sommare!!

4. Attività fisica: Questo è il fattore più difficile da calcolare, perché non è facile quantificare l’esercizio fisico svolto, specie se si tratta di attivita’ ludica e non programmata. Se si svolge attività intensa, è opportuno ridurre di 1/3 (o a volte anche di 1/2) l’insulina al pasto.

Riassumendo per questo pasto dovremo fare: 2,75 + 6,18 – 2 = 6,93 U -> arrotondando 7 U.

Se facessimo attività fisica intensa, dovremmo togliere 1/3 e quindi somministrare 2/3 della dose, cioè 4,6 U ( -> arrotondando 4,5 U).

All’inizio può sembrare un metodo complicato, ma si tratta solo di fare un po’ di pratica, e poi diventa un procedimento automatico!

Consiglio: Nella pratica di tutti i giorni può essere d’aiuto utilizzare i comuni utensili da cucina per dosare gli alimenti senza ricorrere sempre alla bilancia.

 

FARMACI ORALI

Gli anti-diabetici orali (chiamati anche impropriamente ipoglicemizzanti orali) sono usati per il trattamento del diabete tipo 2 e appartengono a varie classi con diverso meccanismo d’azione. Essi, seppure con meccanismi talora molto differenti, sono in grado di ridurre la glicemia aumentando la secrezione di insulina, riducendo l’insulino-resistenza, rallentando l’assorbimento intestinale di glucosio, aumentando lì eliminazione renale del glucosio. Altre classi di farmaci con meccanismo d’azione diverso sono in fase di sviluppo.

Le classi di anti-diabetici orali attualmente disponibili sono le seguenti:

• biguanidi
• sulfoniluree
• glinidi
• glitazoni (o tiazolidinedioni)
• inibitori dell’enzima DPP-4
• inibitori delle alfa-glucosidasi intestinali
• inibitori del trasportatore renale del glucosio SGLT-2

• Le biguanidi e i glitazoni aumentano la sensibilità all’insulina. Le sulfoniluree e le glinidi aumentano la secrezione insulinica. Gli inibitori dell’enzima DPP-4 rallentano la degradazione di un ormone (il GLP-1) che viene prodotto dall’intestino e stimola la secrezione di insulina e inibisce la secrezione di glucagone dal pancreas. Gli inibitori delle alfa-glucosidasi intestinali ritardano l’assorbimento del glucosio alimentare. Gli inibitori del trasportatore renale del glucosio SGLT-2 aumentano, l’eliminazione renale del glucosio.
Gli anti-diabetici orali vanno assunti in genere prima del pasto, da 1 a 3 volte al giorno a seconda della durata d’azione e delle necessità del paziente. In molti casi la correzione dell’iperglicemia richiede l’uso di 2-4 farmaci orali, sfruttando meccanismi d’azione complementari. In altri casi i farmaci orali possono essere associati all’insulina, più spesso del tipo intermedio o a lunga durata d’azione, assunta una volta al giorno.

Biguanidi

L’unica molecola che in questo momento fa parte di questa classe è la metformina. Il farmaco non stimola la secrezione di insulina (anche se probabilmente protegge le cellule che producono insulina dagli insulti tossici presenti nel diabete) ma agisce potenziando l'azione dell'insulina endogena, riducendo così la glicemia principalmente in due modi:
1) inibendo la produzione di glucosio dal fegato (gluconeogenesi)
2) stimolando il tessuto muscolare e gli altri tessuti insulino-dipendenti a captare e utilizzare il glucosio
Metformina determina forse anche un minor assorbimento di glucosio nel tratto gastroenterico e ha una certa azione sull’appetito, favorendo la perdita di peso.
E’ importante notare che per il suo meccanismo d’azione metformina non causa, se non molto raramente, ipoglicemia.
Non ha interazioni con altri farmaci ma può dare a volte disturbi intestinali (gonfiore, dolore addominale, diarrea, sapore metallico).
Viene assunta per bocca tipicamente due volte al giorno.

Sulfoniluree

Sono una famiglia di molecole (glibenclamide, glimepiride, gliclazide, ecc.) che stimolano le cellule beta del pancreas a produrre una maggiore quantità di insulina.
Il loro effetto richiede che le cellule che producono insulina siano presenti e in numero non particolarmente ridotto. Per questo sono progressivamente meno efficaci col passare del tempo anche se ci sono evidenze a favore della conclusione che causino danno delle cellule che producono l’insulina.
Agiscono indipendentemente dal valore della glicemia e questo espone al rischio di ipoglicemia.
Altro effetto avverso è l’aumento di peso.
Hanno interazioni con moltissimi altri farmaci e quindi vanno usate con cautela se si assumono altre medicine.
Vengono assunte per bocca tipicamente una volta al giorno.

Inibitori dell’α-glicosidasi

Appartiene a questa classe di farmaci l’acarbosio, unico della classe in commercio in Italia.
Rallentano l'assorbimento intestinale dei monosaccaridi (es. glucosio), bloccando l'enzima specifico (α-glucosidasi) che scinde i disaccaridi. Riducono quindi elettivamente la glicemia post-prandiale.
Non causano ipoglicemia.
Spesso determinano disturbi intestinali (meteorismo, diarrea, dolori addominali).
Possono alterare l’assorbimento di alcuni farmaci.
Vanno assunti all’inizio del pasto 2-3 volte al giorno.

Glinidi

Di questa classe fa parte in Italia solo repaglinide. Sebbene strutturalmente differenti, agiscono con lo stesso meccanismo di azione delle sulfoniluree e ne condividono virtù e limiti. L’effetto di stimolo della secrezione di insulina è in genere più rapido ma meno duraturo rispetto alle sulfoniluree.
Possono causare ipoglicemia e aumento di peso.
Vengono assunti per bocca tipicamente tre volte al giorno.

Glitazoni ( o Tiazolidinedioni)

Fanno parte di questa classe di farmaci il rosiglitazione (non piu’ in commercio in italia) ed il pioglitazione.
Questi farmaci aumentano la sensibilità insulinica più della metformina, soprattutto nel tessuto adiposo e nel muscolo scheletrico. Hanno anche molti altri effetti alcuni favorevoli (es. aumentano il colesterolo HDL “buono”, riducono la pressione arteriosa), altri sfavorevoli (es. aumentano il peso corporeo o causano ritenzione idrica).
Non causano mai ipoglicemia e sembrano proteggere le cellule che producono insulina. Infatti, sono i farmaco antidiabetici che hanno la efficacia più prolungata nel tempo.
Sono somministrati per bocca tipicamente una volta al giorno.

Inibitori della dipeptidil-peptidasi-4 (DPP-4)

Questa classe comprende numerose molecole (sitagliptin, vildagliptin, saxagliptin, linagliptin ,alogliptin). Esse riducono la degradazione di ormoni intestinali (GLP-1 e GIP) che stimolano l’insulina e inibiscono il glucagone. Di conseguenza nel sangue la prima (insulina) aumenta e il secondo (glucagone) si riduce. Questi effetti però sono glucosio-dipendenti, cioè si realizzano solo quando necessario. Per questo motivo non causano ipoglicemia.
Non hanno effetti sfavorevoli sul peso corporeo né hanno interazioni con altri farmaci.
Gli effetti avversi sono rarissimi.
Si assumono per bocca 1-2 volte al giorno.

Inibitori del trasportatore renale del glucosio SGLT-2

Appartengono a questa classe canagliflozin, dapagliflozin, empagliflozin. Riducono in parte il riassorbimento del glucosio filtrato dal rene. Quindi abbassano la glicemia attraverso un aumento della glicosuria (perdita di glucosio con le urine).
Per questo meccanismo di azione non causano mai ipoglicemia ma sono efficaci solo la funzione del rene è buona o poco alterata.
Con una discreta frequenza causano infezioni genitali. Meno frequentemente causano infezioni urinarie (cistiti).
Determinano un apprezzabile calo del peso corporeo e anche della pressione arteriosa.
Sono somministrati per bocca una volta al giorno.

 

AUTOMONITORAGGIO GLICEMICO

L’automonitoraggio glicemico è irrinunciabile nel diabete tipo 1 e nel tipo 2 insulino-trattato per calibrare la terapia (autogestione delle dosi di insulina). L’automonitoraggio è utile anche nel diabete trattato con analoghi GLP-1 e/o con farmaci antidiabetici orali (soprattutto se questi possono cause ipoglicemia, come le sulfoniluree e le glinidi) e, in misura minore, con la sola dieta per monitorare il livello di compenso metabolico. Ciò è tanto più necessario quando il compenso è insoddisfacente o instabile per capire come modificare la terapia, quando la terapia è stata aggiornata da poco e si vuole comprenderne l’efficacia, quando ci sono eventi intercorrenti (es. influenza o infezione) che possono scompensare il diabete, oppure quando si desidera capire l’impatto sulla glicemia dei vari alimenti o dell’attività fisica.
Il monitoraggio glicemico domiciliare è reso agevole dalla disponibilità di vari tipo di glucometro, più o meno sofisticati, che si adattano alle varie esigenze dei pazienti. Quasi tutti gli strumenti tengono in memoria un buon numero dei valori glicemici misurati e molti di essi possono scaricare i dati nel PC per elaborazioni statistiche (es. media della glicemia nei vari momenti della giornata, andamento nel tempo, ecc.) o inviare dati in un archivio remoto accessibile sia al paziente che al medico che lo cura. Ci sono anche glucometri che sono in grado di dare suggerimenti sul bolo di insulina da somministrare in occasione dei pasti. La tecnologia dei glucometri è in continua evoluzione e molti di essi ormai fanno parte di un sistema articolato e sofisticato di monitoraggio e cura più che essere semplici misuratori della glicemia in un determinato momento della giornata.
Gli orari appropriati per le misurazioni glicemiche domiciliari sono poco prima della colazione, del pranzo e della cena e circa 2 ore dopo l’inizio della colazione, del pranzo e della cena. E’ utile misurare la glicemia anche quando si ritiene di avere la glicemia troppo bassa perché c’è qualcuno di questi disturbi: nervosismo, batticuore, debolezza, vuoto allo stomaco, tremore, sudore, vista confusa.

Le 8 fasi dell’automonitoraggio glicemico domiciliare

1. Lavarsi le mani e asciugarle bene (residui di cibo possono alterare la lettura)
2. Mettere la lancetta nel pungidito e caricarlo
3. Accendere il glucometro e inserire la striscia reattiva (o farla uscire se fa parte di un caricatore interno allo strumento)
4. Massaggiare il polpastrello e pungere lateralmente (dove c’è più sangue)
5. Ottenere una grossa goccia di sangue e accostarla alla striscia reattiva
6. Attendere qualche secondo e leggere il risultato
7. Annotare il valore glicemico sul diario nello spazio che corrisponde al giorno e all’ora della misurazione
8. Estrarre striscia e lancetta utilizzata e gettarle via

 

Analoghi di GLP-1

l GLP-1 (glucagon-like peptide 1) è un ormone prodotto dall’intestino che stimola la secrezione di insulina e inibisce la secrezione di glucagone da parte del pancreas. Il suo rilascio avviene dopo il pasto, entrando quindi in azione solamente quando la glicemia sale per effetto dei carboidrati introdotti col cibo. Per questo motivo non causano ipoglicemia.
Il GLP-1 rallenta lo svuotamento gastrico, aumentando il senso di sazietà in risposta all’assunzione di cibo, e riduce l’appetito, agendo direttamente sui centri di regolazione della fame del sistema nervoso centrale. Sembrano anche avere altre azioni potenzialmente favorevoli fra i quali una protezione delle beta-cellule pancreatiche e una protezione del cuore.
Dopo il suo rilascio il GLP-1 viene rapidamente degradato da uno specifico enzima, la DPP-4 (dipeptil-peptidasi 4), pertanto il suo impiego a scopo terapeutico non è praticabile se non con una infusione continua. Per ovviare al problema della rapida degradazione del GLP-1 sono stati sviluppati degli analoghi, definiti più correttamente “agonisti del recettore del GLP-1”, con struttura più o meno simile al GLP-1, che resistono all’azione di degradazione esercitata dalla DPP-4 e che a volte sono legati a molecole che ne rallentano l’assorbimento sottocutanea. E’ interessante che il primo fra questi, exenatide, è stato sviluppando partendo da conoscenze su una molecola isolata da un rettile che vive nel deserto dell’Arizona (USA), il Gila Monster.
Si somministrano con iniezione sottocutanea (come l’insulina) una volta al giorno (liraglutide, lixisenatide) o due volte al giorno (exenatide) oppure una volta alla settimana (exenatide a lunga durata d’azione, dulaglutide).

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