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Trovate le particelle per gli hard disk del futuro

Trovate le particelle per gli hard disk del futuro

Ipotizzate 80 anni fa, ora si è capito come funzionano

25 ottobre 2018, 13:32

Redazione ANSA

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Rappresentazione artistica di cristalli ferroelettrici (fonte: NOrthwestern University) - RIPRODUZIONE RISERVATA

Rappresentazione artistica di cristalli ferroelettrici (fonte: NOrthwestern University) - RIPRODUZIONE RISERVATA
Rappresentazione artistica di cristalli ferroelettrici (fonte: NOrthwestern University) - RIPRODUZIONE RISERVATA

Risolto il mistero, lungo 80 anni, sull'esistenza e il funzionamento della particella che renderà più potenti gli hard disk del futuro. Sono gli isteroni, le unità base della ferroelettricità, ipotizzate da Franz Preisach nel 1935. Pubblicato sulla rivista Nature Communications dal gruppo di Martijn Kemerink, dell'università di Linkoping, il risultato è importante per costruire memorie flessibili per i computer e rendere più efficiente l'energia fotovoltaica.

La ferroelettricità è il 'gemello' meno conosciuto del ferromagnetismo. Nei materiali ferromagnetici gli elettroni funzionano come dei piccoli magneti o dipoli, con un polo nord e un polo sud. In un materiale ferroelettrico invece i poli sono elettrici e hanno un polo negativo e uno positivo. In assenza di un campo elettrico, l'orientamento dei poli è casuale, ma quando si applica un campo sufficientemente forte, i poli si allineano.

In un materiale ferroelettrico l'allineamento rimane però anche quando si toglie il campo: in altre parole il materiale rimane permanentemente polarizzato. Per cambiare la direzione della polarizzazione deve essere applicato un campo abbastanza forte nella direzione opposta. Un effetto che rende tali materiali particolarmente adatti per le memorie riscrivibili, come quelle degli hard disk. Preisach nel '35 aveva fatto un modello matematico in cui descriveva i materiali ferroelettrici come un insieme di piccole unità indipendenti, chiamati isteroni, ognuna delle quali per allinearsi ha bisogno di un campo diverso dall'altra.

"Finora non si era mai capito il meccanismo di questo modello. In questo caso, con lo studio di materiali organici, i ricercatori hanno capito che dipende da come le singole unità interagiscono tra di loro a livello microscopico", spiega Marco Salluzzo, dell'Istituto superconduttori, materiali innovativi e dispositivi del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Spin). Avere compreso il meccanismo, aggiunge, "è importante per poter organizzare questi materiali in modo da aumentarne le prestazioni, per ottenere memorie per i computer più potenti o celle fotovoltaiche più efficienti".

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