Dei 1.656 casi di coronavirus finora accertati in Israele il 47% è avvenuto fuori dal paese, il 35% all'interno, il 13% non si sa e il 5% per contagio all'interno di casa. Di quello 'autoctono' le sinagoghe sono sono risultate i luoghi al primo posto nella diffusione del virus. A tracciare la localizzazione dei posti di contagio è stato un rapporto del Centro nazionale di informazione e conoscenza del coronavirus, un ente che lavora a stretto contatto con il Ministero della sanità e il Fronte del COmando interno, una struttura militare simile alla Protezione Civile. Dall'analisi dei casi le sinagoghe stanno al 24%, gli hotel al 15%, i ristoranti al 12%, i supermarket al 7%, altri vari negozi al 7%, le cliniche mediche al 5% e le yeshivot (le scuole degli ebrei ortodossi) al 5%. Se si sommano queste ultime alle sinagoghe, i luoghi religiosi arrivano al 29%: un dato piuttosto importante. Considerando anche - hanno ricordato i media - che in un caso, considerato il peggiore, sono state ben 17 le persone ad essersi infettate in una sinagoga. Il Rapporto ha sottolineato che la ricerca epidemiologica continuerà con l'obiettivo di "costruire una fotografia accurata che consenta di assumere iniziative mirate per ridurre la diffusione del virus". Gli stessi ricercatori hanno poi messo in risalto che la crescita dei test per accertare la presenza del virus tra la gente, insieme alle misure di una stretta quarantena, dovrebbe anche permettere di allentare le politiche di lockdown che finora hanno costretto gli israeliani a restare a casa, eccetto per sbrigare le commissioni essenziali.
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