In diversi Paesi dell'Africa, dalla Nigeria al Kenya, dal Ghana al Ruanda, sarti e stilisti ma anche donne sopravvissute all'Ebola e Ong si stanno dando da fare per produrre maschere con cui arginare la pandemia da coronavirus soprattutto in megalopoli dove il distanziamento sociale è quasi impossibile e l'acqua pulita per lavarsi le mani un lusso.
Ad Aba, la principale città commerciale dello Stato di Abia in Nigeria, una centinaio di sarti stanno sfruttando un prestito pubblico a fondo perduto per accrescere la propria capacità di cucire mascherine, riferisce il sito Allafrica dando un quadro di questa tendenza a livello continentale.
Sempre in Nigeria a Lagos, il più grande agglomerato urbano del Paese africano più popoloso, si stanno unendo in questo sforzo anche stilisti: come la quotata Tiannah Toyin Lawani che ha aperto il proprio atelier a versioni fashion delle mascherine sanitarie pure pubblicizzandole su Facebook e sul proprio account Instagram da quasi un milione di follower.
Creatori di moda e designer si sono mobilitati anche in Kenya, stavolta per produrre mascherine per i poveri. E in Ruanda, il primo Paese africano ad imporre un lockdown totale a livello nazionale, sarti che finora producevano colorati vestiti destinati ai turisti ormai spariti si sono riciclati nella creazione di questi dispositivi di protezione anti-Covid.
Donne sopravvissute a guerre civili e alla febbre emorragica Ebola che nel 2014-'16 colpì la Liberia producono mascherine di cotone lavabili. Uno strumento di distanziamento sociale cui si sta riconvertendo anche l'organizzazione non-governativa Global Mama che, in Ghana, propone colorati vestiti da commercio equo e solidale.
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