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Marzabotto, la strage che insanguinò l'Appennino

Marzabotto, la strage che insanguinò l'Appennino

Passati 75 anni dal più grande eccidio nazifascista in Italia

BOLOGNA, 03 dicembre 2020, 14:59

di Leonardo Nesti

ANSACheck

San Martino di Monte Sole (Bologna), sulle colline di Marzabotto - RIPRODUZIONE RISERVATA

San Martino di Monte Sole (Bologna), sulle colline di Marzabotto - RIPRODUZIONE RISERVATA
San Martino di Monte Sole (Bologna), sulle colline di Marzabotto - RIPRODUZIONE RISERVATA

"La nostra pietà per loro significhi che tutti gli uomini e le donne sappiano vigilare perché mai più il nazifascismo risorga". E' la scritta, semplice eppure piena di significati, che dopo 75 anni accoglie chi si arrampica fino al cimitero di Casaglia, sopra Marzabotto, sull'Appennino Bolognese. Uno dei luoghi dove è avvenuta una delle più grandi e feroci stragi di civili di tutta la seconda guerra mondiale, quella che in Italia ha causato più vittime. 

Fra l'estate e l'autunno del 1944 la ritirata delle truppe tedesche, ormai sconfitte, lasciò dietro di sé una gigantesca scia di sangue. Fra il 29 settembre e il 5 ottobre la marcia della morte guidata dal maresciallo Kesselring per fare 'terra bruciata' attraversò le colline e le montagne attorno a Marzabotto, lasciando dietro di sé circa 800 morti.

Fu una strage, come hanno riconosciuto numerosi atti processuali, premeditata, decisa a tavolino, eseguita con fredda metodicità, che non risparmiò donne, invalidi, bambini: nessuna rappresaglia, nessuna vendetta. Solo l'intenzione di distruggere e uccidere. L'obiettivo delle Ss era quello di stroncare le formazioni partigiane che combattevano per la liberazione, con la logica dell'equiparazione dei civili alle formazioni in armi. Considerando, quindi, anche donne, bambini e anziani, come dei nemici da sterminare. 

Sui monti di Marzabotto era attiva la brigata partigiana 'Stella Rossa'. Prima di attaccarla Kesselring ordinò al maggiore Walter Reder di organizzare una vasta operazione di rastrellamento fra le valli del Reno e del Setta. Un'operazione militare in grande stile, condotta, però, contro nemici disarmati.

Il 29 settembre 1944 la gente, impaurita, si riunì nella piccola chiesa di Casaglia e cominciò a recitare il rosario. I nazifascisti entrarono in chiesa, freddarono con una raffica don Ubaldo Marchioni e raccolsero sul sagrato tutti gli altri che uccisero, poi, con fredda metodicità: 195 vittime, le prime di una settimana di sangue, costellata da decine e decine di altri eccidi in villaggi e cascinali. Con una ferocia inconsueta: il corpo, decapitato, di un altro prete, don Giovanni Fornasini, fu ritrovato solo nell'inverno successivo, sotto la neve. Marzabotto, Grizzana, Vado di Monzuno, Castellano. Ovunque lo stesso copione, che rispondeva a ordini precisi: "uccidere tutti, distruggere tutto".

Lucia Sabbioni aveva 15 anni. Sopravvisse solo perché, quando vide i tedeschi che finivano con il fuoco quelli che si lamentavano, ebbe la freddezza di fingersi morta. Ai pochi sopravvissuti sono rimasti ricordi e incubi per tutta la vita.

Ma a loro si deve il racconto del fatto che molti di quei giovani con la divisa delle Ss parlavano in italiano, con un forte accento dell'Appennino bolognese: furono i fascisti locali, infatti, a guidare con grande precisione i militari nazisti in ritirata.

Oggi Marzabotto e Monte Sole sono un luogo di memoria. Da anni è attiva la scuola di Pace, che organizza iniziative e incontri, ogni 25 aprile migliaia di persone, soprattutto giovani, vi si radunano per un festoso pellegrinaggio sui luoghi dove è nata la Costituzione e molte delle più alte cariche istituzionali tedesche vi sono venute in visita, per ricordarsi il motivo principale per il quale è nato il sogno europeo.

Gli interminabili decenni che i familiari hanno dovuto aspettare perché giustizia fosse fatta, l'insopportabile silenzio infranto solo nel 1994 quando si spalancarono le ante dell'armadio della vergogna di palazzo Celsi e tornarono alla luce quasi 700 fascicoli sui crimini compiuti da nazisti e fascisti, rimangono un peso che questa piccola comunità d'Appennino ha dovuto sopportare per tanto tempo. Come le scariche di mitra, che i pochi sopravvissuti hanno sentito risuonare nelle loro teste e nei loro incubi per tutta la vita. E che sembrano quasi tornare a minacciare, 75 anni dopo, i sentieri in mezzo ai castagni di Marzabotto, ogni volta che l'odio e l'intolleranza sembrano provare a prendere il sopravvento sul dialogo e la pace.

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