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Lo strano caso dello sciopero dell'avocado

Lo strano caso dello sciopero dell'avocado

Un nuovo contributo per la rubrica #Vistodaimillennial che ospita contribti dei giovani lettori di Ansa.it

30 giugno 2018, 17:29

di Edoardo Gualandi*

ANSACheck

Fette di avocado in una foto d 'archivio - RIPRODUZIONE RISERVATA

Fette di avocado in una foto d 'archivio - RIPRODUZIONE RISERVATA
Fette di avocado in una foto d 'archivio - RIPRODUZIONE RISERVATA

L’industria alimentare, in particolare quella della carne, sia per le condizioni “bestiali” a cui sono sottoposti gli animali negli allevamenti intensivi sia per la qualità infima del prodotto finale, è uno schifo. La reazione dei consumatori, quantomeno di quelli minimamente informati, può essere distinta in due macro-categorie: chi se ne fa una ragione, e continua a mangiare bistecche e formaggi, e chi invece decide di dire no definitivamente a tutti o a parte degli alimenti di origine animale. Queste due categorie sono nettamente divergenti e sovente sviluppano un’intolleranza reciproca.

La prima categoria, più pigra, accetta di buon grado lo status quo e difficilmente si mobilita per un cambiamento. La seconda in molti casi profonde impegno e dedizione alla causa e propone la propria rinuncia come una scelta doverosa da un punto di vista etico e sostenibile.

Rinunciando a molti elementi che tradizionalmente componevano la loro dieta, vegetariani e vegani hanno dovuto riadattare le proprie abitudini, creando una situazione di mercato molto favorevole per nuovi attori, specialmente globali, che hanno potuto così introdurre una moltitudine di generi alimentari completamente nuovi sulle nostre tavole. L’avocado è uno di questi, e mi è molto caro.

Mentre viaggiavo in Sud America, questo frutto, delizioso e nutriente, è stato il mio pranzo o la mia cena quasi quotidianamente, specialmente in Cile, dove cresceva miracolosamente in fertili vallate circondate da montagne di terra arsa e rossa. Alcuni mesi dopo il mio rientro, mi imbatto in un reportage che presenta il conto delle verdi vallate cilene pagato dalle popolazioni locali, assetate e intossicate di pesticidi. Approfondendo, scopro che l’avocado, considerato un’icona del “veganesimo” e del mangiare etico, talmente cool da meritarsi bar monotematici a Roma e Milano, può avere un serio impatto negativo ed essere tanto poco sostenibile quanto la carne prodotta industrialmente. Similmente, questo discorso può essere applicato a una moltitudine di altri alimenti che, seppur affermatisi come alternative sostenibili, portano con sé le stimmate dello sfruttamento delle popolazioni locali, dell’impatto ambientale delle coltivazioni intensive e dei lunghi trasporti oltreoceano.

Ho così deciso di intraprendere una nuova battaglia. Ho smesso di mangiare avocado. È una provocazione, certo, con la quale mettere però in luce un paradosso. Le due suddette categorie non riescono a far convergere le proprie visioni ma, anzi, si ostacolano a vicenda pur avendo obiettivi comuni. Gli “onnivori” continuano imperterriti ad abbuffarsi di carne proveniente da spaventosi allevamenti, mentre i vegani si nutrono fieramente di nuovi cibi che mettono in ginocchio popoli lontani. Di conseguenza, continuano a proliferare gli all-you-can-eat di costolette di maiale a 10 euro, mentre l’avocado è proposto in tutte le salse in qualsiasi ristorantino vegan-friendly.

Perché non cambiare prospettiva? Al momento, entrambe le categorie di consumatori semplicemente fanno il pieno interesse dell’industria alimentare: chi continua a mangiare carne e derivati accetta tacitamente le politiche irresponsabili dei grandi produttori, mentre vegetariani e vegani, rinunciando senza appello ai prodotti di origine animale, non esigono dall’industria della carne alcun cambiamento, ma anzi ne foraggiano un’altra, emergente, nient’affatto più etica. Così, allevamenti e aziende possono mantenere inalterate le proprie strategie consapevoli da una parte di aver perso una fetta di mercato che mai riconquisteranno, dall’altra di avere una clientela residua mansueta che accetta facilmente qualsiasi turpitudine.

Cambiare lo stato delle cose è possibile, ma richiede una nuova prospettiva: diventare vegetariani deve passare dall’essere una scelta drastica e irreversibile al proporsi come uno sciopero contro la meat industry. “Onnivori” e vegani devono unirsi in un fronte comune e non solo richiedere nuove giustissime regole, come massima trasparenza e tracciabilità di ogni prodotto, rispetto degli animali e l’utilizzo di pratiche di allevamento e agricoltura sostenibili, ma anche cambiare le proprie abitudini di consumo: privilegiare realtà locali a filiera corta, rendendosi disponibili a prediligere la qualità sulla quantità e il risparmio, riconoscere anche economicamente gli sforzi di chi carne, uova e latticini li produce nel rispetto della sostenibilità, e informarsi concretamente sulla vera natura dei nuovi cibi vegan-friendly, molto più trendy che etici e sponsorizzati da un’industria tanto negativa quanto quella della carne.

Vegetariani di tutto il mondo unitevi, e uniamoci anche noi “onnivori”, allo sciopero dei vegani. Chiediamo a gran voce nuove regole, ricattiamo e boicottiamo l’industria della carne senza dover per forza rinunciare al piacere di una bella pasta alla carbonara.

 

- CHI E' L'AUTORE -

*Edoardo Gualandi, nato e cresciuto a Firenze 25 anni orsono, ha passato circa un terzo della sua vita fuori casa, fra Stati Uniti, Milano (dove si è laureato in Ingegneria Gestionale al Politecnico) e Paesi Bassi (dove sta concludendo un Master in Innovazione). Da sempre spirito imprenditoriale, è co-fondatore di Globster.net una piattaforma per viaggiatori sostenibili. Proprio viaggiare è una delle sue grandi passioni, insieme ai cibi bizzarri, ai cocktail fatti bene, agli scrittori russi e alle polemiche infinite. Il suo grande sogno è scrivere parole crociate per la settimana enigmistica mentre, ragionando a più breve termine, sarebbe felicissimo di trasferirsi a Palermo e lì iniziare una vita un po’ più seria senza però mettere la testa a posto.

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