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Bose: Bianchi, imposte condizioni disumane, lesa dignità

Dopo la decisione del Papa, fondatore rompe il silenzio e accusa

    Che la cosa non sarebbe finita così, dopo la decisione del Papa di confermare il decreto di allontanamento del fondatore Enzo Bianchi dalla Comunità di Bose, era facile prevederlo. E infatti, passate solo poche ore, l'ex priore accusato di interferire pesantemente sul governo della comunità monastica anche dopo il passaggio di mano, fin dal 2017, al successore Luciano Manicardi, ha rotto il silenzio e ha pubblicato un lungo comunicato - tenuto finora riservato dalla sua stesura, che risale al 9 febbraio scorso - per spiegare le ragioni che gli hanno impedito fin qui di lasciare, come ordinatogli, la sua usuale residenza nel comprensorio del Monastero di Bose, nel Biellese, per trasferirsi in quella offertagli dalla Comunità in comodato d'uso a Cellole, nelle campagne di San Gimignano.

    E il 'j'accuse' formulato da Bianchi è di particolare durezza, definendo le condizioni impostegli per il trasferimento a Cellole, e da lui finora rifiutate, "disumane e offensive della dignità" degli altri membri della Comunità che avrebbero dovuto accompagnarlo nella nuova destinazione.

    Il decreto del delegato pontificio, padre Amedeo Cencini, ingiungeva a fr. Enzo Bianchi "di trasferirsi a Cellole senza sapere né identità né numero dei fratelli e delle sorelle che sarebbero andati a vivere con lui. Nel contratto di comodato - rende noto lo stesso Bianchi - si prevede che l'Associazione Monastero di Bose, nel suo rappresentante legale fr. Guido Dotti, può cacciare da Cellole in ogni momento, su semplice richiesta e senza motivarne le ragioni, fr. Enzo Bianchi e quanti vi risiedono con lui. Il contratto di comodato d'uso concede gli edifici del priorato di Cellole stralciando però intenzionalmente i terreni annessi all'edificio e necessari per la coltivazione, per l'orto e per la provvigione dell'acqua durante l'estate".

    "Si dichiara che ai monaci e alle monache di Bose che vivranno a Cellole è vietato non solo fare riferimento a Bose, ma anche affermare di condurre vita monastica o cenobitica: potranno semplicemente definirsi come coloro che danno assistenza a fr. Enzo Bianchi, pertanto ridotti a meri 'badanti'", denuncia ancora l'ex priore.

    "A queste condizioni, che non sono mai state rese note alla comunità, io non ho mai dato il mio assenso, perché mi sembrano disumane e offensive della dignità dei miei fratelli e delle mie sorelle - sottolinea -. Il decreto del delegato pontificio pone con tutta evidenza me e quanti con me vivono a Cellole in una condizione di radicale precarietà, obbligandoci a vivere perennemente nell'angoscia di essere cacciati in ogni momento e per qualsiasi ragione". E "se alle indicazioni del Segretario di Stato avrei sempre potuto ubbidire, alle modalità di realizzazione dettate in particolare da fr. Guido Dotti non ho mai potuto dare il mio assenso".

    Bianchi, comunque, scrive in conclusione che "dall'inizio di febbraio, ho ricominciato la ricerca di una dimora in cui poter vivere la vita monastica e praticare l'ospitalità come sempre ho fatto tutta la mia vita a Bose: alla mia vocazione non intendo rinunciare. Non ho nulla in più da comunicare almeno per ora. Giudicate voi!".

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