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Vaticano fu vicino a investire in estrazioni petrolifere

Progetto in Angola tramontò perché mancarono garanzie bancarie

(di Fausto Gasparroni) (ANSA) - CITTÀ DEL VATICANO, 20 MAG - All'inizio del pontificato di Francesco, il Papa della Laudato sì e dell'allarme sullo sfruttamento delle risorse naturali, il Vaticano stava per diventare partner in un progetto per estrazioni petrolifere in Angola. L'investimento, su cui fu condotta una 'due diligence' durata un anno e mezzo, tramontò solo perché alla fine non ci furono sufficienti garanzie a livello bancario. La vicenda è stata ripercorsa nei dettagli oggi nella 17/ma udienza del processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato, dedicata alla prima parte dell'interrogatorio dell'imputato Fabrizio Tirabassi, ex funzionario dell'Ufficio amministrativo.
    Sollecitato dalle domande del promotore di giustizia aggiunto Alessandro Diddi, Tirabassi - che nel processo deve rispondere di peculato, abuso d'ufficio, corruzione, truffa ed estorsione - ha ricordato che del progetto, denominato 'Falcon Oil', si cominciò a parlare tra la fine del 2012 e l'inizio del 2013, quando l'allora sostituto per gli Affari generali mons. Angelo Becciu disse a mons. Alberto Perlasca, responsabile dell'Ufficio amministrativo, di valutare la proposta dell'imprenditore angolano Antonio Mosquito, che Becciu, già nunzio per otto anni in Angola, conosceva come "benefattore della Nunziatura".
    Ricevuto in Segreteria di Stato, Mosquito proponeva alla Santa Sede di considerare un investimento nel settore petrolifero nel suo Paese: e della cosa parlò all'epoca anche col segretario di Stato Tarcisio Bertone, che invitò i sottoposti a "valutare la questione nella sua interezza". Per esplorare la fattibilità dell'investimento ci si rivolse anche ai consulente dell'Eni, dal momento che la compagnia petrolifera italiana era la proprietaria della piattaforma che doveva procedere alle estrazioni nel giacimento individuato, e avrebbe dovuto mettere a disposizione le sue tecnologie. In compartecipazione ci sarebbe stata anche la Sonagol, società petrolifera angolana. In sostanza, alla Santa Sede si proponeva di acquisire il 5 per centro della società che si doveva occupare delle estrazioni.
    E' in questa fase che, come advisor per l'investimento entra in gioco il finanziere Raffaele Mincione, poi coinvolto nell'acquisto del palazzo di Sloane Avenue 60 a Londra e anch'egli imputato nel processo. A proporre il suo nome, come gestore patrimoniale con esperienze nel settore estrattivo, fu la banca Credit Suisse sede di Londra, cui si era rivolto il consulente del Vaticano Enrico Crasso.
    A Mincione venne dato dapprima, a fine 2013, un incarico esplorativo a livello verbale, poi diventato un mandato scritto per uno studio di fattibilità. Per le spese necessarie furono anticipati 500 mila dollari, di cui metà chiesti a Mosquito.
    L'investimento complessivo, comunque, si sarebbe dovuto aggirare sui 250 milioni di euro. Nel rendiconto finale, a distanza di oltre un anno, Mincione spiegò però che non si poteva proseguire non essendoci sufficienti garanzie. Erano state fatte anche proiezione a vent'anni sui potenziali rendimenti, e l'affare non dava neanche sicurezze sul piano economico. Tra l'altro c'erano anche "implicazioni di carattere geopolitico", ha spiegato Tirabassi, per cui la banca Ubs "non ritenne di esporsi e rifiutò di mettere a disposizione il suo finanziamento"".
    Tuttavia "mons. Perlasca intendeva proseguire e si mise in cerca di un altro istituto".
    "Ma c'erano anche problemi di carattere mediatico?", ha chiesto Diddi. "C'erano vari problemi - ha risposto Tirabassi -, oltre all'investimento a rischio ce n'erano di carattere ambientale e anche reputazionale, essendo in quella zona l'estrazione di petroli dannosa per l'ambiente". Tra l'altro, "era gli anni di preparazione dell'Enciclica del Papa sull'ambiente, e io, come semplice addetto dell'Ufficio, mi meravigliavo che si andasse avanti su questo progetto, ma non era mio compito sindacare ciò che dicevano i superiori Ma era una cosa difficile da sostenere. Mi meravigliava soprattutto la contemporaneità dell'investimento petrolifero in Angola con l'uscita dell'enciclica Laudato si'". Si decise comunque di abbandonarlo - a mettere la parola fine fu il nuovo segretario di Stato Pietro Parolin - per "la mancanza di sicurezze sul piano economico e l'insufficienza delle garanzie collaterali. Se ci fossero state garanzie - ha osservato Tirabassi - il progetto sarebbe stato portato alla firma del Santo Padre".
    Tra le altre cose, con l'autorizzazione di Becciu erano state anche poste le basi per il "veicolo" finanziario dell'investimento, cioè un nuovo fondo in Lussemburgo, l'Athena Commodities Fund, proposto da Mincione: che poi, tramontato l'affare in Angola, divenne l'Athena Capital Fund sempre di Mincione, attraverso cui la Santa Sede acquisì il palazzo londinese di Sloane Avenue. (ANSA).
   

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