“L’innovazione è un tema su cui indagare a fondo. Bisogna parlarne di meno e agire di più. Chi ci governa deve avere la volontà di cambiare, di introdurre soluzioni avanzate ma, per farlo, è evidente che debba prima comprenderne i benefici, utilizzandole. Senza questa concretezza, l'innovazione resta solo un termine”. E' il parere del fisico Federico Faggin, considerato il papà del microprocessore, intervenuto in collegamento da San Francisco alla Milano Digital Week, per approfondire il tema che lega le nuove tecnologie allo scenario del lavoro agile imposto dalla pandemia in un incontro organizzato da Asstel.
Non è un caso se, secondo Faggin, in pochi mesi anche l’Italia abbia scoperto i vantaggi del mondo digitale, sia per finalità professionali che educative, nonostante i problemi di rete a cui molti sono andati incontro. “I dispositivi c’erano già e così i software. Serviva solo mettere in pratica un cambio di passo. Paradossalmente, messi dinanzi al bivio del fermare il lavoro o spingere verso la sua agilità, si sia scelta la seconda strada,”. Dall'osservatorio della Silicon Valley, il fisico vede un interesse crescente per robotica e Intelligenza artificiale, anche applicati al lavoro. “C’è chi è convinto che tra trenta o quarant’anni i computer saranno in grado di replicare l’uomo. Questo non è possibile perché una macchina non potrà mai avere la creatività di una mente umana, essendo sviluppata per emulare qualcosa che c’è già - spiega il fisico - Di sicuro, potrà velocizzare certi compiti, come già vediamo nelle fabbriche. Ma nessun posto di lavoro qualificante è in pericolo”. Un concetto centrale nell'operato di Faggin è l'applicazione del cosiddetto "system thinking", molto popolare in discipline quali la cibernetica e le scienze sociali. "Si tratta - conclude - di simulare varie situazioni, conseguenza di un cambiamento. Il modo migliore per avere una linea precisa sul come agire".
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ASSTEL